Crisi idrica ed energetica in Iran: siccità, cattiva gestione e blackout minacciano stabilità e scatenano proteste contro il regime.
Una nuova crisi minaccia l’Iran, e questa volta non c’entrano né il programma di sviluppo nucleare, né i conflitti mediorientali.
La siccità è diventata una spina nel fianco per Teheran negli ultimi cinque anni. Eppure, nonostante il cambiamento climatico costituisca un fattore determinante, la vera causa della carenza di acqua, secondo molti osservatori, è di natura politica.
PEZESHKIAN: L’IRAN RISCHIA DI NON AVERE ACQUA A SETTEMBRE
L’allarme non è nuovo: il Paese affronta da anni una crisi sistemica sul fronte degli approvvigionamenti idrici, su cui gravano le carenze di precipitazioni, le ondate di caldo estremo, ma anche e soprattutto la gestione dissennata delle risorse idriche. A lanciare l’allarme è stato pochi giorni fa lo stesso presidente Pezeshkian: al ritmo attuale le risorse rischiano di azzerarsi entro settembre o ottobre.
TEHERAN A SECCO
Simbolo di questo collasso è Il bacino della diga di Amir Kabir, sul fiume Karaj: le acque sono scomparse in gran parte, lasciando a secco il canale che alimentava Teheran.
DIGHE AL 20% DELLA CAPACITÀ
La testata iraniana Energy Press riferisce che le 19 grandi dighe iraniane hanno ormai riserve inferiori al 20% della capacità totale, con un deficit di oltre 500 milioni di metri cubi nella sola capitale, che dispone oggi di 414 milioni di metri cubi contro una media stagionale di 925 milioni.
UNA CRISI SISTEMICA
Non si tratterebbe però di un evento ciclico, ma di un fallimento sistemico: lo stesso Kaveh Madani, ingegnere ambientale e già vice ministro dell’Energia in Iran, oggi diretto consigliere di istituzioni internazionali da tempo richiama l’attenzione sullo sfruttamento eccessivo delle falde e sulle inefficienze agricole, parlando esplicitamente di “insostenibilità strutturale” della politica idrica iraniana.
A dissestare gli equilibri idrici del Paese sarebbero perciò decenni di trivellazioni incontrollate, politiche agricole miopi e cattiva gestione ambientale. L’agricoltura, che assorbe la fetta maggiore di risorse, mantiene pratiche inefficienti: in Iran servono 1.500 litri d’acqua per produrre un chilo di grano, il 34% in più della media mondiale.
NON SOLO LE RISORS IDRICHE: IL SISTEMA ENERGETICO IRANIANO È AL COLLASSO
Alla crisi idrica si è aggiunta nel frattempo anche l’emergenza sul fronte energetico: una situazione paradossale per un Paese che figura ai primissimi posti al mondo per disponibilità di materie prime. L’una alimenta l’altra, e il combinato minaccia seriamente la tenuta economica del Paese.
Per fronteggiare la domanda di energia elettrica, esplosa a oltre 79.000 MW durante le ondate di calore, il governo ha imposto chiusure del settore pubblico in 15 province e interruzioni programmate dell’elettricità. Per il cittadino iraniano ciò si traduce in uffici pubblici ed esercizi commerciali attivi con orario ridotto, autostrade al buio, continui blackout sia in campagna che in città e limitazione di molte attività fondamentali.
DUE CRISI INTERCONNESSE
Ciò aggrava la crisi idrica, rendendo ancora più difficili i processi di pompaggio e distribuzione dell’acqua.
A livello industriale, il collasso del sistema energetico ha già portato conseguenze devastanti. Secondo le previsioni diffuse a inizio anno, le frequenti interruzioni potrebbero portare a un contraccolpo da decine di miliardi di dollari, con un calo della produzione stimato tra il 30% e il 40%.
LE PROTESTE
Dalle piazze di Teheran alle strade di Sabzevar, la popolazione scende in piazza per gridare il proprio diritto all’acqua e all’elettricità. Le forze dell’ordine rispondono con gas lacrimogeni, ma la rabbia divide sempre più nettamente la società tra chi accusa il regime di tutto e chi teme un’escalation violenta.
Urge una riforma profonda, che regolamenti gli estratti sotterranei e riveda i modelli colturali, garantendo una gestione trasparente delle risorse.
LE ACCUSE AL REGIME
Il regime è accusato di aver dilapidato risorse nello sviluppo del programma nucleare e nel finanziamento dei proxy iraniani, mentre le infrastrutture civili erano al collasso.
Khamenei si trova così preso tra due fuochi: da un lato il peso delle sanzioni che stanno mettendo in ginocchio l’economia del Paese e l’ambizione di tener fede a questioni esistenziali per il regime iraniano, come il nucleare. Dall’altro l’assoluta urgenza di un intervento massiccio (e costoso) per rivoluzionare il sistema idrico del Paese, senza il quale rischia di vedere la sua leadership svanire.