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É tempo di un nuovo Berlusconi in campo? Forza Italia e il futuro del partito carismatico

Il futuro di Forza Italia, che nell’ultimo fine settimana si è riunita a San Benedetto del Tronto per la festa dei giovani, è scritto nel suo passato, quello di partito carismatico legato alla figura del leader, defunto, Silvio Berlusconi, oppure può (o deve) cambiarsi i connotati per andare avanti? Un parallelo con il carisma di Ottaviano Augusto può fornire qualche suggerimento 

È tempo di un nuovo Berlusconi per Forza Italia? Secondo Roberto Occhiuto, vicesegretario di Forza Italia e presidente della Regione Calabria, intervistato oggi su “La Verità”, una eventuale discesa in campo di Pier Silvio Berlusconi sarebbe una scelta molto importante perché nel simbolo di Forza Italia c’è ancora il nome di Berlusconi. Ma in che modo l’ingresso di Pier Silvio o Marina Berlusconi potrebbe cambiare l’assetto e la natura di un partito nato e vissuto sul carisma del padre?

Il partito carismatico, o per meglio dire il partito che vede al suo vertice un capo dotato di ineguagliato e ineguagliabile carisma, è un fenomeno moderno, ma che ha radici antiche. Per Max Weber le persone carismatiche sono quelle percepite dagli altri come individui dalle caratteristiche straordinarie. C’è però da chiedersi se il carisma sia il punto di partenza o il punto di arrivo del leader politico. Per capirlo, e per comprendere fino in fondo il partito berlusconiano, bisogna fare un salto nell’antica Roma, alla nascita dell’impero. Il carisma di Ottaviano Augusto, così come quello di Silvio Berlusconi, era precedente alla conquista del potere politico. Per Augusto derivava dalle sue vittorie sul campo di battaglia, mentre per Berlusconi dai suoi successi in campo imprenditoriale, editoriale e sportivo. Ci sono invece leader il cui carisma è dovuto totalmente, ed è concomitante, al ruolo politico.

Nel linguaggio teologico cristiano, in senso stretto, carisma è il dono soprannaturale e straordinario concesso a una persona a vantaggio della comunità. A ben guardare, sia Augusto sia Berlusconi hanno simboleggiato la persona di successo che mette le proprie qualità al servizio della collettività. E se Ottaviano scelse per sé il nome “Augustus”, in greco σεβαστός, colui che si venera, il venerato, fu perché derivante dalla sfera religiosa, dalla quale richiama qualcosa di soprannaturale, che è al di sopra degli uomini.

Augusto non fu il primo ad essere chiamato Princeps, così come Berlusconi non è stato il primo Presidente, ma per loro questa carica è diventata consustanziale al nome, inscindibile, da qui “Principe Augusto,” non più meramente primo, ma condottiero, guida e “Berlusconi Presidente”, anche quando non era più a palazzo Chigi, presidente nonostante non fosse più presidente, perché l’appellativo si riferiva alla carica di governo, non di partito.

Si potrebbero aggiungere altre similitudini fra i due, ma il punto principale è ciò che li divide: la successione. Ci sono sufficienti indizi per ritenere che Ottaviano, anche per le sue sempre precarie condizioni di salute, abbia iniziato a pensare in termini che si potrebbero considerare dinastici sin dall’inizio del principato, per quanto i suoi piani subirono modifiche anche notevoli in ragione di una serie di eventi imprevedibili. Il Cavaliere, invece, non ha mai pensato realmente alla sua discendenza politica. Perché? Scartò immediatamente i figli, per non fargli patire ciò che aveva patito lui da una parte della magistratura, ma, delfini ne ha avuti diversi e uno di questi è probabilmente utile a svelare il mistero. La successione non è stata preparata semplicemente perché non si trattava di lasciare in eredità un titolo, “Imperator Caesar”, come quello che lasciò Giulio Cesare a suo figlio adottivo Ottaviano, perché il requisito che faceva di Berlusconi “il Presidente” non era trasmissibile. Il “quid”, che si reputava mancasse ad Angelino Alfano per succedere al fondatore di Forza Italia, in realtà non era presente in nessuno, non poteva essere trasmesso e non poteva essere creato perché non era la potestas, ma l’auctoritas.

Augusto, in un celeberrimo passo delle sue Res Gestae, spiega questo mutamento di paradigma: dal momento dell’attribuzione del titolo di Augustus egli fu superiore a tutti in auctoritas, ma non ebbe una potestas maggiore degli altri che anche gli furono colleghi nelle cariche pubbliche. Il concetto di auctoritas è arcaico ed ha una connotazione, a seconda dell’interpretazione degli studiosi, ideologico-sacrale e giuridica. La posizione di chi detiene l’auctoritas, all’interno della res publica, è superiore a tutti gli altri in virtù di un potere diverso, se non addirittura slegato, dal potere delle classiche cariche pubbliche. È possibile interpretarla come autorevolezza, ma anche come autoglorificazione di chi non ha e non teme rivali.

Il tema ha suscitato un vivace dibattito in dottrina sia per determinare il senso del termine in sé sia nella comprensione del significato in relazione alla potestas. Una parte ritiene che l’auctoritas sia un concetto etico-sociale, che non rappresenti un potere costituzionale o giuridico, bensì l’ascendente che alcuni uomini eminenti potevano avere sugli altri in virtù degli onori che erano stati loro tributati e per le imprese di cui erano stati protagonisti. L’altra scuola di pensiero attribuisce invece all’auctoritas una connotazione non soltanto di tipo etico-politico, ma in molti casi anche di valore giuridico. L’auctoritas in realtà si pone a metà strada fra la morale e il diritto e, a seconda delle circostanze, può tendere più verso la prima (morale) o più verso il secondo (diritto).

Il precedente chiarimento si è reso necessario per poter ricondurre con certezza l’auctoritas di Berlusconi alla sfera squisitamente politica: non fu una istituzione giuridica, ma una qualità politica. La sua potestas, invece, non fu mai superiore a quella degli altri premier, non ebbe mai pieni poteri. Berlusconi è stato capo del governo, mentre un governo del capo Berlusconi non è mai esistito: non ha mai governato da solo, non è mai stato l’uomo solo al comando.

Dal momento che il carisma, l’auctoritas, non è qualità che si può trasmettere, l’interrogativo che meriterebbe una risposta è quale sia il modello più ortodosso, o se si vuole più efficace, per perpetuare un partito carismatico, e un potere carismatico, in assenza del capo carismatico. Nel caso di Augusto, come detto, più che la potestas era l’auctoritas che faceva di lui, indiscutibilmente e per unanime riconoscimento, la figura preminente di tutto il sistema politico-istituzionale. L’auctoritas, però, lo abbiamo visto, era un prestigio personale dovuto alle proprie virtù, scaturiva da una influenza morale, era quindi “una qualità che non può essere acquistata per successione, ma soltanto per i meriti e le azioni compiute a vantaggio dello stato”, come spiega Francesco De Martino.

Tornando alla successione, Augusto si adoperò per favorire la carriera politica di diversi suoi “figli”, figli acquisiti tramite adozione perché Augusto ebbe solo una figlia femmina, Giulia, e all’epoca le donne non potevano ricoprire ruoli politici. Berlusconi, che invece ha avuto più figli e figlie, ha fatto l’esatto contrario: li ha scoraggiati dal ricoprire ruoli politici

E ora veniamo ai tempi nostri. Antonio Tajani è segretario nazionale del partito, non presidente, e non può che essere così proprio perché l’auctoritas non è trasmissibile. Ed ha quindi fatto bene ad abolire la carica di presidente, cioè a ritirare la maglia del presidente-allenatore-capitano Silvio Berlusconi perché quella squadra scudetto non c’è più. Nel simbolo elettorale “Forza Italia – Berlusconi Presidente” convivono due concetti di partito, non due correnti, il Cavaliere le aborriva, ma proprio due tipologie di partito: “Forza Italia”, che è un partito per così dire tradizionale, e “Berlusconi Presidente” che è un partito carismatico. Quale dei due conta di più? E non sono certo le fideiussioni bancarie a far pendere la bilancia da un lato piuttosto che dall’altro. Ciò che pesa è il nome “Berlusconi”.

Può un partito, già carismatico, essere gestito con successo come un partito tradizionale? Può un partito, già carismatico, fare a meno di un leader carismatico alla guida? Non c’è nulla di personale in queste domande, perché il punto non è la persona, ma il partito. Questi sono i nodi che “Forza Italia – Berlusconi Presidente” si troverà a dover sciogliere. Pubblicamente si dichiarano tutti a favore, ma naturalmente chi predilige il partito tradizionale a quello carismatico può mostrare una certa resistenza all’ingresso diretto dei Berlusconi, mentre chi crede nella supremazia del partito carismatico vede l’ingresso diretto dei Berlusconi come unico e possibile punto d’approdo. Non è detto, però, che i “due” partiti possano continuare a convivere insieme così come è adesso.

Bisogna però ricordare che l’auctoritas non era nel partito ottavianeo, ma nella Domus Augustea, e la sacrosanctitas di Augusto, cioè la sua inviolabilità, era estesa e ad appannaggio di tutti i membri della Domus. Per dirla con le parole di Tacito negli Annali, “il palazzo imperiale era pieno di prìncipi” così come lo è la famiglia berlusconiana. Il piano originario di Augusto aveva visto cambiare, per necessità, alcune pedine, ma la successione era stata immaginata come un sistema organico e coerente, capace di adattarsi ad ogni evenienza, positiva o negativa che fosse, con al centro la famiglia imperiale come punto di riferimento per la trasmissione regolare del potere. Ciò che è stato per la famiglia di Ottaviano Augusto, non è stato invece, fino a questo momento, per la famiglia di Silvio Berlusconi. Non è detto, però, che non lo possa essere in futuro perché i “prìncipi” di adesso, Marina Berlusconi e Pier Silvio Berlusconi, hanno l’auctoritas necessaria, ma non solo per il cognome, bensì per i successi conseguiti, quindi ottenuti prima di una loro eventuale discesa in campo. Esattamente come il padre.

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