I recenti sviluppi nel quadrante nord-orientale europeo, con i vari sconfinamenti di velivoli russi sul territorio Nato sono il segnale dell’entrata in una nuova fase del conflitto in Ucraina, in cui la partita più importante riguarda il business dei droni. Ecco chi sono i principali produttori e perché le minacce di Mosca si sono concentrate finora su Danimarca, Polonia, Estonia e Norvegia
La geografia dei droni e della loro produzione per capire per capire il senso delle provocazioni russe: da questo assunto muove la tesi esposta oggi sul Corriere della Sera da Federico Fubini, che traccia un collegamento tra le violazioni dello spazio aereo Nato ai danni di Danimarca (soprattutto), Polonia, Estonia e Norvegia e gli accordi militari tra questi Paesi e l’Ucraina.
IL CASO-SPIA DELLA DANIMARCA
L’episodio-spia è quello che riguarda la Danimarca: se in passato le violazioni avevano coinvolto Paesi confinanti con la Russia o parte della sua antica sfera d’influenza in Europa – Estonia, Polonia, Romania e Norvegia sono tutte ascrivibili all’una o a entrambe le categorie – l’attacco ibrido sull’aeroporto di Copenaghen segna l’entrata in un nuovo scenario.
PERCHÉ LA RUSSIA PRENDE DI MIRA LA DANIMARCA
Perché proprio la Danimarca, dunque? La risposta è nei numeri, secondo Fubini, che cita i dati del Kiel Institute for International Economics: il governo di Copenaghen è impegnato in prima linea negli aiuti militari all’Ucraina. Quarto per forniture a livello globale, il suo impegno ammonta a circa 9,16 miliardi di euro, contro i 6 della Francia e gli 1,7 miliardi dell’Italia (sebbene le informazioni sulle consegne di Roma siano riservate).
Inoltre, a luglio la Danimarca ha siglato con Kiev un accordo inedito: concedere alcuni impianti per la produzione di droni progettati in Ucraina, in cambio del know-how. Analogo è l’intesa sul missile da crociera “Flamingo”, concepito a Kiev e con un raggio operativo di circa 3.000 chilometri. Proprio il Flamingo assume un valore strategico perché potrebbe permettere all’esercito ucraino di colpire obiettivi profondi nel territorio russo.
GLI ALTRI PAESI NEL MIRINO
Anche l’Estonia – seconda nel sostegno all’Ucraina tra i Paesi dell’UE in proporzione al PIL, subito dopo la Danimarca, e prima nell’area baltica – è stata recentemente coinvolta negli sconfinamenti di droni, così come la Polonia e da ultimo la Norvegia, entrambe ben al di sopra della media europea.
QUALI SONO I DRONI A DISPOSIZIONE DELL’ITALIA
Secondo il ministro della Difesa, Guido Crosetto, alle condizioni attuali l’Italia sarebbe in grado di difendersi da un attacco russo soltanto dal 2031. Va rinforzata la rete radar, a lungo e corto raggio, mentre per il 2026 è fissata l’entrata in servizio del Samp/T NG, il sistema di difesa in grado di neutralizzare un’ampia gamma di minacce aeree e balistiche, nel quadro di una dinamica bellica improntata all’elusività e alla rapidità e affinata grazie proprio ai droni.
Quanto ai droni propriamente detti, Roma dispone delle forniture americane tramite il meccanismo di vendita militare (FMS) per i droni MQ-9A Reaper e sta sviluppando una collaborazione con la Turchia attraverso Leonardo e Baykar per la produzione di droni armati, oltre a produrre autonomamente modelli come il P2HH Hammerhead con Piaggio Aero e Leonardo.
I DRONI: L’AFFARE DEL SECOLO?
Si tratta probabilmente della tecnologia chiave per la guerra del ventunesimo secolo per almeno tre ragioni: sono letali, hanno un prezzo ridotto a fronte delle capacità distruttive e sono estremamente difficili da intercettare, tanto che le attività di prevenzione e difesa dai droni costano più della loro stessa produzione.
Se si guarda alla lista dei principali attori del settore, si comprende come il settore militari sia destinato a crescere rapidamente nel prossimo periodo, sospinto dalle attività militari dei governi che li producono. In totale è possibile individuare almeno sei gruppi di rilievo: General Atomics Aeronautical Systems e Northrop Grumman (Stati Uniti); China Aerospace Science and Technology Corporation e Aviation Industry Corporation of China (entrambe a capitale statale: la Cina è responsabile di quasi il 70% della produzione globale); Israel Aerospace Industries ed Elbit Systems (rispettivamente con prevalente controllo pubblico e proprietà mista con investitori internazionali) e Baykar (Turchia, a gestione familiare).
La Russia si è a lungo approvvigionata dall’Iran, tramite la Shahed e la Iran Aircraft Manufacturing Industries Corporation (HESA), che costruisce i noti droni kamikaze della serie Shahed, come lo Shahed-136, ma ad oggi l’intera filiera è quasi interamente spostata nel territorio di Mosca. Secondo l’intelligence ucraina, Mosca continuerà a produrre ancora più droni a medio-lungo raggio da qui al 2026: se oggi si parla di 2.700 al mese, l’anno prossimo si potrebbe arrivare a 5.000.