Skip to content

Cedolare secca

Manovra, come sarà la cedolare secca al 26% sugli affitti brevi

La prossima legge di Bilancio introduce la cedolare secca al 26% sugli affitti brevi già dalla prima abitazione messa a reddito. Ecco cosa cambia con la manovra 2026

Il fenomeno degli affitti brevi, esploso dopo la pandemia, ha trasformato i centri storici delle città italiane: meno residenti, più ricettività temporanea (e rischio di over tourism) e una filiera di servizi che si è sviluppata attorno a questa domanda.

Il tributo su cui si regge il mercato degli affitti brevi è la cedolare secca, già aumentata dal 21% al 26% due anni fa ma applicata allora solo dal secondo immobile locato in poi. Con la manovra 2026 verrebbe estesa a tutte le locazioni brevi a partire dalla prima casa.

La misura, pensata per contrastare la proliferazione degli immobili offerti per periodi inferiori ai 30 giorni, rischia di colpire soprattutto i piccoli proprietari — eredi o famiglie che integrano il reddito — e di ridurre l’offerta online, con possibili ricadute su prezzi, turismo e indotto.

COS’È LA CEDOLARE SECCA E COSA CAMBIA

La cedolare secca è un regime fiscale sostitutivo dell’Irpef e delle addizionali sui canoni di locazione. Per le locazioni brevi (contratti di durata non superiore a 30 giorni tra persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa) l’opzione per la cedolare si esercita nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui i canoni sono maturati o riscossi.

Fino ad ora, l’aumento al 26% introdotto nella scorsa manovra si applicava solo dal secondo immobile locato; la novità della prossima legge di Bilancio è che l’aliquota al 26% verrebbe applicata sin dalla prima abitazione messa a reddito come affitto breve.

CHI SARÀ COLPITO

Secondo i dati citati dall’associazione di categoria Aigab, il 96% delle case promosse online appartiene a proprietari singoli. Il 30,4% degli immobili offerti è frutto di eredità — case messe a reddito per non lasciarle vuote — mentre il 28,7% proviene da proprietari che hanno affittato l’abitazione per necessità. Sono quindi, in larga parte, piccoli nuclei familiari che non operano come imprese. Per questi soggetti l’aumento dell’aliquota può tradursi in una riduzione significativa del netto ricavato dall’affitto, che scenderebbe dal 34% al 28% di guadagno netto, per un costo totale aggiuntivo di 1.300 euro all’anno.

IMPATTI ECONOMICI E SUL TURISMO

Gli operatori segnalano già segnali di contrazione: secondo Aigab il 2025 ha visto circa 40.000 abitazioni in meno disponibili sulle piattaforme, fenomeno attribuito anche al contesto economico con salari fermi. La riduzione dell’offerta potrebbe portare all’aumento dei prezzi per la domanda residua, riducendo la competitività delle mete italiane, con il conseguente spostamento della domanda verso alternative estere o verso strutture alberghiere, con possibili danni all’indotto locale.

 

 

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Torna su