Oltreconfine, la rassegna stampa internazionale di Policy Maker
IN FLORIDA L’AMERICA TRATTA LA PACE COI DELEGATI DI KYIV
Come riferisce l’Associated Press, domenica in Florida alti funzionari americani e ucraini si sono incontrati per circa quattro ore per cercare di definire una via d’uscita alla guerra con la Russia. I colloqui si sono tenuti nello Shell Bay Club, un lussuoso golf club di proprietà dell’inviato speciale di Trump Steve Witkoff. Per l’America erano presenti il Segretario di Stato Marco Rubio, lo stesso Witkoff e il consigliere e genero del presidente Usa Jared Kushner; per l’Ucraina c’erano il capo del Consiglio di sicurezza Rustem Umerov, il comandante delle forze armate Andrii Hnatov e altri. Rubio ha detto che l’incontro è stato produttivo, aggiungendo però che c’è ancora tanto da fare: non basta fermare i combattimenti, ha sottolineato, ma bisogna creare le condizioni perché l’Ucraina sia sovrana, sicura e davvero prospera a lungo termine. Rubio ha parlato anche di un fondo per lo sviluppo, di investimenti in tecnologia, intelligenza artificiale, data center e soprattutto di una collaborazione stretta sugli enormi giacimenti di minerali e sul sistema del gas ucraino, con l’obiettivo di ricostruire, modernizzare e gestire insieme le infrastrutture energetiche, spesso colpite dai russi. Umerov ha ringraziato gli Stati Uniti per il sostegno fornito al suo Paese e ha detto che Washington “ci ascolta e lavora al nostro fianco”, un messaggio chiaramente diretto a Trump, che in passato si era lamentato della scarsa riconoscenza di Kyiv. Nelle prossime ore Witkoff, probabilmente accompagnato da Kushner, andrà a Mosca da Putin per discutere il piano di pace americano. Il Cremlino ha confermato l’incontro, che potrebbe tenersi già oggi. Il piano iniziale in 28 punti presentato da Trump era molto favorevole alla Russia: limiti all’esercito ucraino, no alla Nato, elezioni in 100 giorni e cessione del Donbass. Il capo della Casa Bianca ora lo chiama solo un “concetto” da raffinare, e sembra che alcune parti siano state riviste dopo le proteste di Kyiv. Zelensky, nel suo discorso serale, ha definito l’approccio americano “costruttivo” e ha detto che nei prossimi giorni si potrà concretizzare come mettere fine alla guerra in modo dignitoso. Come osserva l’Ap, la sensazione è che qualcosa si stia davvero muovendo, anche se i nodi principali sono ancora tutti da sciogliere.
ACCORDO DI PACE TRA RDC E RUANDA
La prossima settimana i presidenti della Repubblica Democratica del Congo, Félix Tshisekedi, e del Ruanda, Paul Kagame, voleranno a Washington per firmare un accordo di pace e incontrare Donald Trump alla Casa Bianca. Lo riferiscono a Reuters tre fonti diverse, tra cui la portavoce di Tshisekedi, Tina Salama, che indica la data del 4 dicembre. L’incontro arriva dopo mesi di tensione altissima nell’est del Congo, dove il gruppo ribelle M23, sostenuto dal Ruanda (anche se Kigali lo nega), ha conquistato quest’anno le due città più importanti della regione, Goma e Bukavu, provocando migliaia di morti e centinaia di migliaia di sfollati. Si teme un conflitto regionale ancora più ampio. Il vertice dovrebbe servire a ratificare due intese già raggiunte: l’accordo di pace mediato dagli Stati Uniti a giugno, firmato allora dai ministri degli Esteri, e il quadro per l’integrazione economica regionale approvato poche settimane fa. L’idea americana è chiara: stabilizzare la zona per attirare miliardi di dollari di investimenti occidentali nelle miniere di cobalto, litio, rame, oro, tantalio e altri minerali strategici. Finora, però, sul terreno non si è mosso quasi nulla. A settembre Congo e Ruanda si erano impegnati a rispettare entro fine anno le misure di sicurezza previste dall’accordo di giugno, ma gli esperti Onu continuano a denunciare che Kigali comanda di fatto l’M23. Parallelamente il Qatar ha ospitato colloqui diretti tra Kinshasa e i ribelli, culminati questo mese in un’intesa-quadro, ma i dettagli veri del disarmo e del ritiro restano tutti da definire. Tshisekedi, parlando venerdì alla diaspora congolese in Serbia, ha detto che andrà a Washington, ma ha ribadito un punto fermo: senza il ritiro delle truppe ruandesi dal suolo congolese non ci potrà mai essere una vera integrazione economica regionale. “La sovranità non è negoziabile”, ha fatto sapere tramite la sua portavoce. Insomma, la firma del 4 dicembre potrebbe essere un passo storico verso la pace, oppure l’ennesima photo-opportunity in una crisi che dura da decenni.
GOLPE IN GUINEA-BISSAU: L’ESERCITO DEPONE EMBALÓ ALLA VIGILIA DEI RISULTATI ELETTORALI
Come spiega la CNN, giovedì 28 novembre il generale Horta Nta Na Man è stato nominato presidente di transizione della Guinea-Bissau dopo che un gruppo di ufficiali dell’esercito, autoproclamatosi “Comando Militare Superiore per il Ristabilimento dell’Ordine”, ha annunciato in televisione di aver deposto il presidente in carica Umaro Sissoco Embaló. Il colpo di Stato è arrivato a sole quattro giornate dal voto presidenziale, proprio quando erano attesi i risultati provvisori di un duello molto serrato tra Embaló e lo sfidante Fernando Dias, 47 anni, politico emergente dato per favorito da molti analisti. La coalizione di opposizione che sostiene Dias ha accusato senza mezzi termini il presidente uscente di aver orchestrato un “falso golpe” per bloccare la pubblicazione dei dati che probabilmente lo vedevano perdente, e ha chiesto con forza che la Commissione elettorale nazionale possa lavorare liberamente e rendere pubblici i risultati. Mercoledì sera, poco prima dell’annuncio militare, per circa un’ora si sono sentiti intensi spari vicino alla sede della Commissione e al palazzo presidenziale; giovedì la capitale Bissau è rimasta quasi paralizzata: militari ovunque, coprifuoco notturno revocato ma pochissima gente in giro, negozi, banche, scuole e uffici chiusi. I soldati hanno sigillato gli uffici della Commissione elettorale e al momento non c’è alcuna data per la proclamazione dei risultati. Lo stesso Embaló, raggiunto da alcuni giornalisti francesi, ha confermato di essere stato destituito ma non ha detto dove si trovi; non è chiaro se sia in carcere o nascosto. Tra le persone fermate mercoledì c’è anche l’ex primo ministro Domingos Simões Pereira, che Embaló aveva sconfitto nel 2019. Come ricorda la CNN, la Guinea-Bissau, piccolo Stato costiero tra Senegal e Guinea, è tristemente famosa per l’instabilità: dall’indipendenza dal Portogallo nel 1974 ha subito almeno nove colpi di Stato o tentativi. È inoltre uno dei principali corridoi della cocaina diretta in Europa e, secondo un rapporto di agosto della Global Initiative Against Transnational Organized Crime, durante la presidenza Embaló il traffico sarebbe diventato più redditizio che mai. Unione Africana ed ECOWAS hanno espresso “profonda preoccupazione”, chiesto il rilascio immediato degli ufficiali elettorali arrestati e invitato al ritorno rapido all’ordine costituzionale. Per ora la regione esclude un intervento militare e punta tutto sul dialogo per evitare un’ulteriore spirale di violenza.

