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A Gaza la tregua è vicina ma la pace è lontana

Dopo più di un anno di guerra Israele e Hamas sono a un passo dalla tregua e un cessate il fuoco temporaneo. Il racconto dei quotidiani

A Gaza sta per suonare l’ora della tregua. L’accordo sarebbe sul punto di essere chiuso grazie alla mediazione del Qatar. “La svolta si è avuta nella notte tra domenica e lunedì, quando sul tavolo di Doha è arrivata la bozza finale dell’intesa, portata dal rappresentante del Qatar e successivamente mostrata a Israele e ad Hamas – scrive Fabio Tonacci su La Repubblica -. Decisive per la limatura del testo sono state le interlocuzioni tra i vertici dei servizi segreti israeliani, l’inviato di Donald Trump in Medio Oriente Steven Witkoff e il primo ministro qatarino Mohammed al Thani: quest’ultimo ha incontrato i rappresentanti di Hamas, Witkoff si è preso l’incarico di riferire alla delegazione israeliana”.

DALLA RIUNIONE ODIERNA SI ATTENDE LA LUCE VERDE PER LA TREGUA

Questa mattina si terrà un altro round di colloqui “alla presenza degli inviati del presidente a uscente e di quello eletto: può essere la riunione da cui arriverà luce verde alla tregua, dopo 15 mesi di guerra, più di 46 mila morti e la distruzione quasi completa di un pezzo di terra palestinese – spiega Tonacci -. Il documento trova il favore dei leader di Hamas all’estero ma la sigla finale spetta a colui che di fatto è il capo del movimento islamista palestinese, pur senza essere stato nominato: Muhammed Sinwar, leader di Hamas nella Striscia e fratello dell’ideatore dell’assalto terroristico del 7 Ottobre. Tra le condizioni poste da Hamas, tra l’altro, c’è proprio la riconsegna del cadavere di Yahya Sinwar, ucciso lo scorso ottobre”.

LA TREGUA NON VUOL DIRE LA FINE DELLA GUERRA

Ma quindi, ora, a Gaza cosa succederà? Se lo chiede Giusy Fasano, inviata del Corriere della Sera a Gaza. “In realtà non sono noti molti dettagli che riguardano le azioni post-accordo all’interno della Striscia – leggiamo sul Corriere -. Ma una cosa sembra certa: l’eventuale intesa fra Hamas e Israele non coinciderà con la fine della guerra. Anche perché le due parti in causa hanno già tirato la palla oltre il campo in cui hanno giocato questa partita. Hamas ha già fatto sapere che, dopo questi 33 dell’accordo in arrivo, rilascerà gli ostaggi che restano soltanto se e quando finirà il conflitto. E il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha già promesso che la sua campagna anti-Hamas andrà avanti fino alla «vittoria totale», cioè finché il movimento islamista non sarà annientato”. Quindi per il cessate il fuoco permanente c’è tempo. “Si è sempre parlato soltanto di una sospensione temporanea dei combattimenti per consentire l’ingresso degli aiuti umanitari, l’uscita in sicurezza degli ostaggi e il ritorno dei residenti che lo vorranno nella parte Nord di Gaza, in gran parte devastata da 15 mesi di bombardamenti – scrive Fasano -. Non c’è certezza sulle modalità e sulle quantità di un ritiro di soldati israeliani che, secondo la richiesta di Hamas, dovrebbero andarsene dal cosiddetto corridoio Filadelfia, una striscia di terra lunga 14 chilometri che divide la Striscia dal deserto egiziano del Sinai”. In questa prima fase il cessate il fuoco durerà “42 giorni durante i quali saranno liberati ostaggi e detenuti (all’inizio, pare, 1.300). Il sedicesimo giorno di quei 42, però, comincerà la discussione della seconda fase e sarà quella trattativa che metterà a fuoco il futuro di Gaza”.

ISRAELE: EVITARE IL RISCHIO AFGHANISTAN

A gestire le fasi della trattativa che sta per portare a un primo cessate il fuoco è stato il Qatar. Sul tavolo c’è un piano in più fasi, che permette in un primo momento il ritorno di trentatré ostaggi tutti vivi, compresi i soldati israeliani feriti, e la liberazione di un numero di detenuti palestinesi delle carceri israeliane che potrebbe arrivare a tremila, molti dei quali condannati per terrorismo – scrive Micol Flammini su Il Foglio. Nella seconda fase del piano dovrebbe scattare il cessate il fuoco definitivo, con il ritorno in Israele anche dei corpi di chi è stato ucciso il 7 ottobre ed è stato trascinato a Gaza senza vita o chi è morto durante la prigionia”. La terza sarà la fase quella della ricostruzione ed è lì, secondo Flammini, che Israele dovrà evitare il “rischio Afghanistan”, quello per il quale forze islamiste si accreditino come partner (quasi) presentabili. “Nel febbraio del 2020, quando i talebani e gli Stati Uniti si accordarono sulla fine del conflitto, cercarono di accreditarsi come un movimento ormai diverso dal passato, pronto ad accogliere il futuro del nuovo Afghanistan – scrive Flammini -. Hamas sta lavorando a una recita simile ma più ambiziosa e in questi mesi, mentre rifiutava qualsiasi accordo con Israele, cercava di accordarsi con Fatah per essere riconosciuto come attore politico. Il gruppo ha sempre giocato sulla sua divisione tra un’ala politica e una armata, che però perseguono lo stesso obiettivo contro Israele”.

TREGUA A GAZA: DA NETANYAHU UN REGALO PER TRUMP

La soluzione della tregua non avrebbe nulla a che fare con la reale soluzione delle questioni interne all’area ma che, invece, sarebbe un “regalo” all’amministrazione Trump che sta per insediarsi. La pensa così Nathalie Tocci, direttore dell’Istituto Affari Internazionali, che lo spiega nel suo editoriale per La Stampa. “L’arrivo di Trump, naturalmente, è una buona notizia per il leader israeliano. La nuova amministrazione promette di essere ancora più filoisraeliana (seppur sia difficile immaginare come) rispetto a quella Biden. Eppure, proprio per questo Netanyahu sa che deve tenersi buono Trump – scrive Nathalie Tocci -. E quale modo migliore che regalargli per il suo insediamento un cessate il fuoco a Gaza che languiva da mesi sul tavolo (mietendo, nel frattempo, decine di migliaia di palestinesi)? È un dono che potrebbe rivelarsi utile per incassare il disco verde di Washington per i futuri piani di Netanyahu in Medio Oriente”. E quali sono le ambizioni di Netanyahu? “E poi ci sono i piani di annessione della Cisgiordania, già in agenda durante la prima amministrazione Trump, che senz’altro torneranno alla ribalta nei prossimi anni – spiega Tocci -. All’epoca, quel piano di annessione di Israele fu temporaneamente riposto nel cassetto alla luce degli accordi di normalizzazione con gli Emirati Arabi Uniti, facilitati appunto da Trump. E chissà, forse Trump convincerà di nuovo Netanyahu a posticipare l’annessione della Cisgiordania, stavolta mettendo sul piatto la normalizzazione con l’Arabia Saudita. Ma oggi appare difficile”.

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