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Angela e demoni, cosa farà l’Ue senza Merkel? Draghi prenderà il suo posto?

lockdown Germania Merkel

Intervista al giornalista Daniel Mosseri autore del libro “Angela e Demoni. La fine dell’era Merkel e le sfide della Germania di domani”

Si è detto spesso che Angela Merkel piacesse ai tedeschi perché è una donna pratica. Poco mediterranea, diremmo noi, abituati ai “blablabla” (per citare un’altra nordica, Greta Thunberg) dei politici nostrani. Dire nulla ma dirlo con tante parole, poi, era proprio caratteristica dei nostri democristiani. Invece, la leader centrista della Unione Cristiano-Democratica (CDU) Angela Merkel s’è sempre contraddistinta per lo stile asciutto, la formazione e l’atteggiamento da donna di scienza e per affrontare di petto ogni questione, andando subito al sodo. Dopo 16 anni di Merkel, ritrovarsi senza rende tutti noi europei un po’ più soli e spauriti. Quali siano le sfide che attendono ora la Germania e l’intero Vecchio continente lo spiega il giornalista Daniel Mosseri nel libro “Angela e Demoni. La fine dell’era Merkel e le sfide della Germania di domani”, edito da Paesi edizioni.

Angela e Demoni

In Angela e Demoni non viene raccontata soltanto la parabola della ragazza scelta da Helmut Kohl nel suo governo in quota rosa e Ossi, cioè cittadina proveniente dalla ex Germania dell’Est, ma fotografa successi e sfide ancora lontane dall’esser superate in un Paese che si prepara al post Merkel. Sono tante le domande che tutti noi ci facciamo, ora che il macchinista della ‘locomotiva d’Europa’ cambierà: Policy Maker ne ha rivolte alcune proprio all’autore di Angela e Demoni: Daniel Mosseri.

Angela e Demoni
Daniel Mosseri

INTERVISTA A DANIEL MOSSERI

Qual è l’eredità che Angela Merkel lascia ai tedeschi, dopo tanti anni di governo?

Lascia un Paese più ricco di quello ereditato dal suo predecessore Gerhard Schröder. Un dato su tutti: il reddito pro capite tedesco è passato da 38 mila euro nel 2005 a 48 mila euro nel 2019. Lascia un paese con un tasso di disoccupazione molto basso, diventato da alcuni anni la seconda meta migratoria più ambita al mondo dopo gli Stati Uniti.

Insomma, solo aspetti positivi?

No. Merkel lascia anche un Paese in cui la disparità di ricchezza è molto forte e in cui negli ultimi anni si è formato un esercito di lavoratori atipici (senza ferie né contributi) destinati a pesare sul sistema previdenziale e sanitario.

E qual è l’eredità della Merkel sul fronte europeo: la forza di Angela Merkel era un vantaggio o uno svantaggio per la coesione europea?

Alla cancelliera venuta dall’Est va riconosciuto di aver tenuto insieme una Ue molto divisa durante la peggiore crisi finanziaria da decenni. Non senza scossoni, Merkel ha mediato tra i paesi “virtuosi” e i non pochi falchi tedeschi presenti anche nel suo stesso governo (vedi alla voce Wolfgang Schäuble) che avrebbero lasciato cadere la Grecia fuori dall’eurozona o avrebbero fatto volentieri a meno del Next Generation Ue in chiave anti-pandemia. Un’operazione per la quale Merkel ha anche pagato un costo politico: non dimentichiamo che Alternative für Deutschland, il partito xenofobo e nazionalista tedesco, è nato in primo luogo come una formazione euroscettica, contraria a una moneta comune fra paesi del nord e del sud d’Europa.

Si dice che adesso l’uomo forte in Europa sia Mario Draghi. Renzi ha detto che il numero di telefono dell’Ue prima aveva prefisso tedesco, ora italiano. Cosa ne pensa e cosa ne pensano, soprattutto, i tedeschi?

Per molti anni Draghi non ha goduto di una buona reputazione in Germania. I piccoli risparmiatori tedeschi, gli Herr e le Frau Müller abituati a tenere i soldi in banca e a godere degli interessi, non hanno certo apprezzato la sua politica dei bassi tassi di interesse. I più maligni accusavano Draghi di voler favorire l’Italia abbassando gli interessi sul suo debito. Fra gli economisti è stata invece più chiara la percezione che con la sua politica “SuperMario” ha permesso all’Europa di continuare a crescere anche durante gli anni della crisi. Con Emmanuel Macron che deve pensare alla rielezione, il Regno Unito che ha abbandonato la nave, e la Germania alle prese con la formazione del primo governo a tre della sua storia, è vero che il profilo di un economista come Draghi, sostenuto da quasi tutto il Parlamento in Italia, è destinato a svettare.

Hanno fatto rumore le dimissioni di Jens Weidmann da presidente della Bundesbank: era notoriamente un falco. Cosa cambia ora, soprattutto per noi?

Weidmann non ha mai fatto mistero di essere contrario all’allentamento quantitativo (QE) impostato da Draghi. Il numero uno della Bundesbank se ne va sbattendo la porta ma per sapere cosa cambia per l’Italia dovremo prima attendere di conoscere il nome del suo successore: i primi candidati e candidate alla guida della Bundesbank non sembrano essere rigoristi tutti di un pezzo e anche il governo sul quale scommettono socialdemocratici, verdi e Liberali in questi giorni sembra puntare molto sulla voce investimenti. Allo stesso tempo aspettarsi una gestione “allegra” della finanza tedesca (ed europea) da parte di Berlino è irrealistico.

Come siamo visti noi italiani dalla Germania? E l’opinione è mutata con l’avvento di Draghi?

Draghi presidente del Consiglio piace decisamente di più di Draghi presidente della Bce, ma soprattutto infonde più fiducia ai tedeschi che amano visceralmente il nostro paese ma non la sua classe dirigente ritenuta inaffidabile né i suoi governi considerati troppo instabili. I numerosi omaggi tributati a SuperMario dalla cancelliera Merkel e soprattutto l’immagine di un premier al lavoro per riportare l’Italia sulla via della crescita hanno fatto il resto.

Qual è la sfida principale che la Germania post Merkel dovrà affrontare?

Almeno due: il completamento della svolta energetica. Le ultime centrali nucleari tedesche ancora attive stanno per chiudere i battenti e la Germania, un gigante industriale, ha fame di energia. Urge identificare nuove fonti senza strangolare l’economia tedesca. L’altra è quella previdenziale: centinaia di migliaia di baby boomer stanno andando in pensione mentre i lavoratori di oggi sono meno numerosi (il calo demografico tedesco è molto marcato come quello italiano) e meno ricchi, il che impone una riforma del sistema pensionistico.

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