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Bucha, perché questa volta non si può nemmeno ventilare il sospetto della propaganda

Russia Europa

I Graffi di Damato

No, questa volta non ci casco. Nel processo mediatico internazionale che si è aperto contro Putin dopo le immagini di Bucha e delle altre località ucraine dove sono stati trovati, per strada e al chiuso, senza neppure bisogno di andare a scavare le fosse comuni, i resti di uomini uccisi con le mani legate dietro alla schiena, non me la sento di condividere le posizioni garantiste di amici come Piero Sansonetti e Walter Veltroni, o di inviati di guerra come Fausto Biloslavo, del Giornale. Che nei salotti televisivi hanno ieri sera lanciato o condiviso, secondo le circostanze, il sospetto delle solite operazioni di propaganda, certo non nuove in una guerra, per rovesciare o solo annebbiare le responsabilità dei crimini che vengono via via scoperti.

Non cado nella trappola di attribuire quelle atrocità fosse “anche” al presidente ucraino Zelensky e a tutti quelli che ne tirerebbero da lontano le fila come di un pupazzo: da Joe Biden, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, al nostro presidente del Consiglio Mario Draghi. Che non si lascia scappare occasione per ribadire, nonostante il dissenso palese del suo predecessore Giuseppe Conte, che la libertà, ma direi anche l’umanità compromessa nel centro dell’Europa dipende dalla “resistenza” ucraina alla quale giustamente abbiamo deciso, pur tra i contorcimenti grillini, di prestare aiuti “anche militari”, necessariamente crescenti, visti gli sviluppi degli eventi.

Non è di Zelensky che parla un uomo di sinitra come Achille Occhetto -l’ultimo segretario del Pci e il primo del Pds-ex Pci, che nel 1994 tentò di sopravvivere alle macerie del muro di Berlino scalando addirittura Palazzo Chigi con una “gioiosa macchina da guerra”- quando dichiara all’insospettabile Fatto Quotidiano, sulla prima pagina di oggi, che bisogna “costringere Putin a fermarsi”: Putin, ripeto, l’aggressore, non Zelensky, l’aggredito. E bisognerebbe fermarlo davvero, un pò prima che cerchi inutilmente di farlo Papa Francesco con la visita a Kiev, o dintoni, che in volo per Malta ha dichiarato di avere “sul tavolo”, a Santa Marta.

Ma Putin, anche a costo di sembrarvi agli ordini del Biden, espostosi recentemente a Varsavia con l’auspicio, cbiamiamolo così, che qualcuno decida o trovi il modo di togliergli il potere che ha, va fermato appunto a partire dal Cremlino. Da dove, avvolto pur in abiti civili, pur disponendo ancora -penso- di qualche buona divisa militare, ha talmente obnubilato la popolazione che “in Russia, sugli adesivi e sui quaderni scolastici, sulle fiancate dei missili e sugli striscioni delle manifestazioni si scrive: possiamo replicare”. Lo ha appena scritto, anzi raccontato sulla Stampa, in prima pagina, non una italiana visionaria di ritorno da quelle parti, ma Anna Zafesova. Il cui solo nome, diciamo così, è una garanzia di conoscenza, anche se la signora ha il torto per i putiniani di lavorare per un importante giornale scelto non a caso dall’ambasciatore russo in Italia, nei giorni scorsi, per la sua clamorosa denuncia alla Procura di Roma per istigazione a delinquere e non so quali e quanti altri reati.

A proposito di reati, vorrei segnalare che nella sua intervista già citata al Fatto Quotidiano Occhetto ha anche chiesto al governo Draghi, spiazzando forse sia il giornale ospitante sia il rimpianto già presidente del Consiglio Conte, che “adisca al tribunale internazionale contro i crimini di guerra” per portare Putin dove merita di finire, con le buone o le cattive.

I GRAFFI DI DAMATO

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