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Carlo De Benedetti russa un po’

Carlo De Benedetti

I Graffi di Damato

Con tutta la prudenza, per carità, imposta dall’astuta mobilità dell’editore cartaceo e televisivo Urbano Cairo, è quanto meno curioso che alla vigilia della missione di Mario Draghi negli Stati Uniti -da qualcuno paragonata a quella storica di Alcide De Gasperi nel 1947, propedeutica a scelte atlantiste tali da tradursi subito nella rottura della collaborazione di governo della Dc con i comunisti e i socialisti già incamminati sulla strada del fronte popolare, sconfitto nelle elezioni dell’anno dopo- il Corriere della Sera abbia deciso di manifestare oggi tutta la sua preoccupazione, e disapprovazione, che si torni indietro di 75 anni. E le elezioni italiane dell’anno prossimo si possano svolgere con la paura dei cosacchi a Roma, non solo in Ucraina, e un degasperiano Draghi deciso, costretto e quant’altro a scontrarsi, ma questa volta forse perdente, con uno schieramento sostanzialmente favorevole alla Russia di Putin. Il quale, partito con l’ambizione di imitare Pietro il Grande, sta miseramente ripercorrendo la strada di Stalin e dei successori sovietici.

“Fattore Z”, come la lettera scelta da Putin per contrassegnare la sua guerra all’Ucraina, “e coalizioni alla prova”, è il titolo dell’editoriale di Antonio Polito dedicato sul più diffuso giornale nazionale agli “scenari italiani”. “Senza il piano Marshall e senza Pio XII”, ma con Papa Francesco in Vaticano, poco o per niente convinto degli aiuti anche militari che l’Occidente sta fornendo agli ucraini aggrediti, “non è neanche detto -ha scritto Polito- che finirebbe allo stesso modo” del 1948 una “regressione” allo scontro tra sostenitori e avversari dell’uomo di turno seduto al Cremlino.

Una mano alla paura, preoccupazione e quant’altro di un Corriere insolitamente allineato a quella specie di coppia gialloverde di Giuseppe Conte e Matteo Salvini, sostanzialmente ricostituitasi nella vasta maggioranza realizzatasi attorno a Draghi per una somma di emergenze, l’ha data l’ebreo, come il presidente ucraino Zelensky, e solitamente atlantista Carlo De Benedetti. Che, pur disponendo di nuovo di un suo giornale, il quotidiano Domani, dopo avere perduto la Repubblica per colpa dei figli, ha preferito affidare in una intervista proprio al Corriere un messaggio al presidente americano Biden, a Draghi e quant’altri che meglio non poteva essere riassunto in questo richiamo in prima pagina: “La guerra a Putin? Non è interesse di noi europei”. Che dovremmo quindi riconoscerci con Conte, e il suo aedo Marco Travaglio, nel fotomontaggio copertina del Fatto Quotidiano di oggi contro Biden e il segretario generale della Nato che imbavagliano Zelensky: colpevole di essersi mostrato disposto a rinunciare alla già perduta Crimea nella speranza, o illusione, di fare trasferire Putin dal tavolo di comando della guerra scatenata contro l’Ucraina a quello delle trattative diplomatiche per chiuderla.

E’ uno strano destino politico, direi, anche quello dell’editore De Benedetti. Che pure solo qualche mese fa, riconoscendo i limiti del suo nuovo giornale, aveva confidato a Lilli Gruber, che ogni tanto lo invita nel salotto televisivo dell’editore Cairo, che il quotidiano preferibile per una informazione quotidiana più completa fosse La Stampa, oggi schierata contro Putin assai più chiaramente e convintamente del Corriere. Cui egli ha quindi preferito ora affidare, ripeto, le sue opinioni o i suoi umori sulla guerra che per “procura” americana starebbero conducendo gli ucraini per salvare la loro pelle, dopo avere in parecchi già perduto la casa e i campi. Dove non cresce più il grano cadendovi i missili e altri ordigni russi di fuoco.

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