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Che cosa sta succedendo in Iran

 L’approfondimento di Marco Orioles su quanto sta succedendo in Iran dopo le dimissioni del ministro degli Esteri Zarif

Che cos’è successo a Zarif “l’americano”?. Il nomignolo che i mai domi falchi iraniani affibbiarono anni addietro al ministro degli Esteri Mohammed Javad Zarif – diplomatico di lungo corso con studi negli States alle spalle e due figli nati in America, noto in Occidente soprattutto per essere stato, insieme al collega Usa John Kerry, uno degli architetti dell’accordo nucleare del 2015 – fornisce più di un indizio per risolvere il mistero delle sue clamorose dimissioni, arrivate improvvisamente lunedì pomeriggio.

IL MESSAGGIO DI CONGEDO AFFIDATO A INSTAGRAM

Zarif sceglie Instagram, il social delle immagini tanto amato dai giovani anche del suo Paese, per annunciare la sua uscita di scena. Lo fa con un’icona stilizzata di Fatima, la figlia del profeta Maometto di cui si festeggia in questi giorni il compleanno, corredata da un breve testo nel quale il ministro esprime riconoscenza “al caro e onorato popolo iraniano per gli ultimi 67 mesi” nei quali ha avuto l’onere, più che l’onore, di rappresentare la Repubblica Islamica nell’arena internazionale, e si scusa “”per l’incapacità di continuare a servire” in quel ruolo “e per tutte le mancanze durante il servizio”.

LA REAZIONE DI ROUHANI

Confermate poco dopo la pubblicazione del post Instagram dal portavoce del Ministero degli Esteri, Abbas Mousavi, le dimissioni di Zarif atterrano con il botto sulla scrivania del presidente Hassan Rouhani, che condivide con il suo (ex?) collaboratore l’anelito a migliori rapporti con l’Occidente. Ma Rouhani, a quanto pare, non pare intenzionato ad accettarle. Ieri il suo chief of staff, Mahmoud Vaezi, ha “negato risolutamente” su Twitter che il presidente le abbia accettate. Non pago, Vaezi ha aperto il suo profilo Instagrame reso nota la “soddisfazione” di Rouhani e del “popolo iraniano per le sagge ed efficaci posizioni e il lavoro del Dr. Zarif”. Alcuni parlamentari riformisti, nel frattempo, hanno indirizzato al presidente una lettera in cui gli chiedono di far desistere il suo ministro.

I MOTIVI DIETRO LE DIMISSIONI

Spunta, nel frattempo, una teoria che metterebbe a nudo le vere ragioni del gesto di Zarif. Come spiegano le ben informate fonti di Al-Monitor, il ministro avrebbe espresso la propria “indignazione” per essere stato escluso dagli incontri che hanno avuto luogo lunedì a Teheran con un ospite illustre: il presidente siriano Bashar al-Assad. Zarif non è presente né al meeting di Assad con la Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, né a quello tra il capo del regime di Damasco con Rouhani. In ambedue le circostanze, fa bella mostra di sé invece la nemesi di Zarif: il generalissimo della forza al Qods, divisione estera dei temibili Guardiani della Rivoluzione, Qasem Soleimani. Dinanzi alla rappresentazione plastica del suo esautoramento dal più importante dossier di politica estera dell’Iran, le relazioni con l’alleato di ferro siriano, Zarif sbotta e, al sito di informazione Entekhab, confida la sua rabbia per non avere più “credibilità nel mondo”.

POSSIBILI ESITI

Non sappiamo, al momento, se le dimissioni di Zarif diventeranno effettive. Come abbiamo detto, Rouhani non pare muoversi in questa direzione, e il suo placet è necessario. Per alcuni, il gesto del ministro andrebbe letto come un roboante messaggio politico, volto a scuotere le acque di Teheran intorbidate dalle manovre dei suoi avversari conservatori. Questi ultimi, infatti, hanno ripetutamente preso di mira il ministro, chiedendogli conto e ragione del fallimento del processo negoziale con l’Occidente. Il ragionamento dei falchi è, ridotto all’osso, molto semplice: Zarif non può restare al suo posto dopo che la scommessa di rinunciare all’atomica in cambio dei proventi del commercio con l’Occidente si è rivelata perdente. La crisi economica che da oltre un anno attanaglia l’Iran e scuote le piazze del Paese promette sfracelli, e Zarif è chiamato a pagarne il prezzo.

È l’eterno braccio di ferro tra falchi e colombe, il pendolo che oscilla ora da una parte ora dall’altra, che ha schiacciato Zarif, prima vittima illustre dell’attuale prevalere in Iran del campo intransigente su quello del dialogo. La sua dipartita, se confermata, non può che rappresentare una pessima notizia per chi, negli ultimi anni, aveva sperato in un nuovo corso nei rapporti con la Repubblica Islamica. È una sconfitta per Barack Obama e John Kerry, anzitutto, le cui strette di mano con Zarif ebbero un enorme portata simbolica. E, forse, anche per Donald Trump. La cui politica di “massima pressione” nei confronti dell’Iran travolge proprio “Zarif l’americano”.

(estratto di un articolo pubblicato su Start Mag; qui la versione integrale)

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