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Chi è Aung San Suu Kyi e di cosa è accusata la leader del Myanmar

Chi è Aung San Suu Kyi

Ascesa e declino dell’icona della democrazia in Myanmar. Chi è Aung San Suu Kyi

Considerata un faro per i diritti umani, un’attivista che ha rinunciato alla sua libertà per sfidare gli spietati generali dell’esercito che hanno governato il Myanmar (o Birmania) per decenni, nel 1991 Aung San Suu Kyi ha ricevuto il premio Nobel per la pace mentre era ancora agli arresti domiciliari (durati circa 15 anni). È stata descritta come “un eccezionale esempio del potere degli impotenti”.

Nel 2015, ha guidato il partito Lega nazionale per la democrazia (Lnd) alla vittoria nelle prime elezioni veramente libere del Myanmar in 25 anni. Ma il 1° febbraio, insieme ai vertici del suo partito, è stata arrestata durante un colpo di Stato da parte dell’esercito: chi è Aung San Suu Kyi?

CHI È AUNG SAN SUU KYI

Aung San Suu Kyi è nata nel 1945 a Yangon ed è figlia dell’eroe dell’indipendenza del Myanmar, il generale Aung San, che fu assassinato quando lei aveva solo due anni, poco prima che il Paese si liberasse del dominio coloniale britannico nel 1948.

Nel 1960 si trasferì in India con sua madre Daw Khin Kyi, che era stata nominata ambasciatrice del Myanmar a Nuova Delhi. Quattro anni dopo si è iscritta all’Università di Oxford, dove ha studiato filosofia, politica ed economia. È lì che ha incontrato il futuro marito, l’accademico Michael Aris. Dopo aver vissuto e lavorato in Giappone e in Bhutan, si è stabilita nel Regno Unito per crescere i loro due figli, Alexander e Kim, ma il Myanmar non ha mai abbandonato suoi pensieri.

Secondo quanto riportato dal New Yorker, poco prima di sposare Aris, Suu Kyi gli scrisse una lettera in cui diceva: “Ti chiedo soltanto una cosa, che se mai il mio popolo avrà bisogno di me, tu mi aiuterai a compiere il mio dovere nei suoi confronti”.

Aung San Suu Kyi con il marito, Michael Aris

IL RIENTRO IN BIRMANIA

Quando Suu Kyi è tornata a Yangon nel 1988, per assistere sua madre gravemente malata, il Myanmar era nel mezzo di un grande sconvolgimento politico. Migliaia di studenti, impiegati e monaci erano scesi in strada per chiedere una riforma democratica.

“Non potevo, come figlia di mio padre, rimanere indifferente a tutto ciò che stava accadendo”, ha detto in un discorso a Yangon il 26 agosto 1988. Così Suu Kyi ha continuato a guidare la rivolta contro il dittatore di allora, il generale Ne Win.

GLI ARRESTI DOMICILIARI

Ispirata dalle campagne non violente del leader americano dei diritti civili Martin Luther King e da Gandhi, ha organizzato raduni e viaggiato per il Paese chiedendo una pacifica riforma democratica e libere elezioni. Le manifestazioni però furono brutalmente represse dall’esercito, che prese il potere con un colpo di Stato il 18 settembre 1988. Suu Kyi fu condannata agli arresti domiciliari l’anno successivo per “aver messo in pericolo lo Stato”.

Alle elezioni nazionali del maggio 1990, il partito Lnd di Suu Kyi vinse con una maggioranza assoluta, ma la giunta si rifiutò di cedere il controllo. Dei 21 anni seguenti tra il 1989 e il 2010, Suu Kyi ne ha trascorsi più di 15 in prigione o ai domiciliari, chiusa nella casa di famiglia a Yangon.

La casa di famiglia a Yangon

Talvolta le è stato concesso di incontrare altri funzionari della Lnd e diplomatici, ma durante i primi anni è stata spesso in isolamento. Non poteva nemmeno vedere i suoi due figli e suo marito, che morì di cancro nel 1999. Le autorità militari, infatti, le avevano dato la possibilità di andare nel Regno Unito per fargli visita, ma Suu Kyi rifiutò perché, una volta uscita dal Myanmar, non le avrebbero permesso di rientrare nel Paese.

Negli anni di reclusione è diventata uno dei prigionieri politici più famosi del mondo, fino a ricevere il Nobel per la Pace nel 1991.

IL RITORNO IN POLITICA E L’ARRESTO

Suu Kyi è stata esclusa dalle elezioni del 2010, ma due anni dopo è stata eletta in Parlamento diventando capo dell’opposizione. Dichiarò che si sarebbe candidata alla presidenza alle elezioni del 2015, in cui la Lnd ha vinto ampiamente, ma la Costituzione birmana vietava l’accesso alla presidenza a chiunque avesse sposato un cittadino straniero. Suu Kyi allora fece nominare presidente un suo fedele alleato, Htin Kyaw, e istituì per sé la carica di consigliere di Stato, che le consentì di essere comunque la leader de facto.

Birmania

Nel 2020, la Lnd ha vinto di nuovo, ottenendo anche più voti che nelle elezioni del 2015. I militari, ancora potenti, hanno contestato i risultati, sostenendo la frode elettorale e il 1° febbraio, giorno in cui il Parlamento si sarebbe dovuto riunire per la prima volta, con un colpo di Stato hanno arrestato Suu Kyi insieme a molti altri leader politici.

Suu Kyi è stata poi accusata anche di aver importato illegalmente apparecchiature di comunicazione: la polizia ha detto di aver trovato nella sua casa sette radio walkie-talkie che non era autorizzata a possedere.

Leggi anche: Cosa sta succedendo in Birmania?

LA QUESTIONE ROHINGYA

Suu Kyi, che si era sempre battuta contro il regime militare, una volta al potere ha cambiato approccio. Nel 2016 c’era stata addirittura una sorta di riconciliazione formale con l’esercito e quando si è trattato di scegliere se schierarsi contro le forze armate denunciando il genocidio del 2017 compiuto nei confronti dei rohingya (la minoranza musulmana pari al 4% della popolazione) o difenderli, Suu Kyi, per non perdere consensi alle elezioni del 2020, ha scelto la seconda strada e nel dicembre 2019 si è presentata di fronte alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja per negare il genocidio e difendere l’esercito.

Se questa strategia ha danneggiato la sua immagine a livello internazionale, resta tuttavia molto popolare – come si può notare dalle manifestazioni di massa seguite al suo arresto – tra la maggioranza buddista del Myanmar.

Aung San Suu Kyi e il capo delle forze armate Min Aung Hlaing
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