Dopo l’annuncio del ritiro dalla contesa presidenziale, Joe Biden ha comunicato l’endorsement verso la sua vice Kamala Harris
Kamala Harris: i democratici (al momento) sembrano puntare sull’attuale vicepresidente nella corsa – in salita – per non farsi scippare la Casa Bianca da Donald Trump, dopo il ritiro di Joe Biden.
Nel gennaio 2021 è stata la prima donna, la prima afroamericana e la prima persona di origine asiatica a ricoprire la carica di vicepresidente del Paese. Adesso Harris potrebbe scrivere una nuova pagina della storia degli Stati Uniti se riuscirà a rompere il soffitto di cristallo e con l’appoggio di Joe Biden per candidarsi alla presidenza.
“Oggi voglio offrire il mio pieno appoggio e sostegno a Kamala come candidato del nostro partito quest’anno”, ha dichiarato Joe Biden su X. “Sono onorata dell’endorsement di Joe Biden, mi guadagnerò la nomination e batterò Trump” ha commentato Harris.
IL PROFILO DI KAMALA HARRIS
La 59enne vicepresidente racconta che da bambina manifestava per i diritti civili con il padre giamaicano, professore di economia, e la madre indiana, ricercatrice sul cancro al seno.
Laureata alla Howard University, fondata a Washington per accogliere gli studenti afroamericani, Kamala Harris è orgogliosa del suo percorso professionale, che incarna il sogno americano. Dopo due mandati come procuratore distrettuale a San Francisco (2004-2011), è stata eletta due volte procuratore generale della California (2011-2017), diventando la prima donna e la prima persona di colore a capo dei servizi giudiziari nello Stato più popoloso del Paese. E’ stata criticata per la sua pesante repressione dei reati, che secondo gli oppositori danneggiava le minoranze. Nel gennaio 2017 ha prestato giuramento al Senato a Washington, dove è diventata la prima donna dell’Asia meridionale e la seconda senatrice nera della storia. Una volta vicepresidente, ha dedicato il suo discorso di vittoria alle donne che hanno lottato per l’uguaglianza nel Paese.
IL FLOP DELLA PRIMA CAMPAGNA PRESIDENZIALE DEL 2019
La prima campagna presidenziale di Kamala Harris però, lanciata di fronte a 20mila sostenitori nel gennaio 2019 e poi conclusa a dicembre, prima dell’inizio delle primarie perché non c’erano più soldi, un messaggio o una struttura operativa, è stato un completo flop.
Nel 2019 ha attaccato aspramente Joe Biden per essersi opposto in passato a una politica che prevedeva il trasporto in autobus degli scolari neri nelle scuole dei distretti bianchi per porre fine alla segregazione razziale. “La bambina (sull’autobus) ero io”, ha detto. Questo sfogo non ha salvato la sua campagna elettorale. Joe Biden l’ha poi invitata a unirsi a lui, esponendola agli attacchi del suo avversario repubblicano Donald Trump. Nel 2020, il repubblicano l’ha definita “mostro” e “donna collerica”, termini che evocano stereotipi razzisti sulle donne di colore.
GLI ANNI ALLA CASA BIANCA
Ed anche una volta arrivata alla Casa Bianca i suoi quasi quattro anni da veep accanto a Joe Biden sono stati difficili, con grandi problemi di efficienza e comunicazione del suo ufficio, tensioni con West Wing, e tassi di popolarità sempre molto bassi.
Nel 2022 Kamala Harris ha difeso con forza il diritto all’aborto, messo in discussione dalla Corte Suprema. “Alcuni leader repubblicani stanno cercando di usare la legge contro le donne: come osano dire a una donna cosa può o non può fare del proprio corpo?”, ha dichiarato. All’inizio del suo mandato ha commesso alcuni errori su questioni di diplomazia e immigrazione. La stampa statunitense ha criticato il suo lavoro, ma i suoi sostenitori lo attribuiscono a pregiudizi sessisti. La rivista Vogue ha dovuto difendersi per aver scelto, poco dopo l’elezione, una foto della vicepresidente in scarpe da ginnastica per la copertina, invece di un ritratto piu’ formale, che avrebbe dato maggiore risalto alla sua posizione. Coltiva un’immagine rilassata, con l’aiuto del marito Doug Emhoff, un avvocato ebreo che funge da “secondo gentiluomo”. E’ una delle principali risorse della Casa Bianca nella lotta all’antisemitismo.
PER UN’ORA HARRIS È GIÀ STATA TECNICAMENTE PRESIDENTE USA – L’ANEDDOTO
Eppure gli Usa hanno già avuto una donna nera come Presidente. Per un’ora e 25 minuti, nel 2020, in cui proprio Kamala Harris ha avuto tecnicamente il potere mentre Biden era sotto anestesia generale per una colonscopia di routine. Anche Donald Trump si sottopose a una colonscopia, nel 2019, ma non lo fece sapere proprio per non dover consegnare le chiavi dello Studio Ovale all’allora vicepresidente Mike Pence (e per non essere preso in giro in tv).
GLI ERRORI DA NON RIPETERE E I CAVALLI DI BATTAGLIA DEL PROGRAMMA
Ma ora che la rinuncia di Joe Biden alla rielezione ha proiettato la 59enne democratica verso una molto probabile nomination alla Casa Bianca, “Harris, con pochi mesi per lanciare una campagna contro Trump, non può permettersi di ripetere gli errori che hanno affondato la sua prima campagna elettorale. La sua – commenta Nbcnews – deve essere uno sprint verso l’Election Day praticamente senza errori”. Anche perché, stanno sottolineando i commentatori americani, da quando, con il disastro del dibattito di Atlanta, è iniziata a sgretolarsi la candidatura, l’immagine di Harris si è rafforzata agli occhi del pubblico, come dimostrano anche gli ultimi sondaggi.
L’ex senatrice della California dovrà anche decidere in tempo record quale sarà la sua piattaforma e se in qualche modo si differenzierà da quella di Biden. Durante la sua breve campagna presidenziale di cinque anni fa, l’ex procuratrice ha avuto dei problemi a trovare uno spazio politico tra i centristi e i progressisti – scettici nei suoi confronti per il suo passato da procuratore considerata troppo dura e severa – che aveva cercato di attirare proponendo un’agenda sul clima da diversi trilioni e sostenendo il piano del super liberal Bernie Sanders per le università gratuite.
Harris candidata alla Casa Bianca potrebbe mettere la questione della difesa dell’aborto e dei diritti riproduttivi delle donne molto più enfaticamente di Biden al centro della campagna elettorale, cercando di fare leva elettorale sullo scontento delle donne nelle decine degli stati a guida repubblicana che dopo l’abolizione del diritto costituzionale all’aborto da parte della Corte Suprema a maggioranza repubblicana. E fare leva anche sul timore che una vittoria di Donald Trump possa portare ad un bando a livello nazionale dell’aborto.