Dolan, grande sostenitore di Trump e figura chiave della Chiesa cattolica americana, è il cardinale preferito dal presidente Usa (sempre che non valuti di candidarsi egli stesso). Ecco chi è quali sono le sue chance per il conclave, al di là delle battute del tycoon
Trump Papa? In partenza per il comizio in Michigan, dove ha glorificato i presunti successi dei suoi 100 giorni alla guida della Casa Bianca, Trump ha lanciato l’ennesima boutade. E un endorsement, tutt’altro che ironico in questo caso, nei confronti di “cardinale molto bravo di New York”: riferimento non troppo velato al cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, volto simbolico dell’ala conservatrice del cattolicesimo americano e suo grande sostenitore. Ecco il suo profilo
CHI È TIMOTHY DOLAN
Nato nel 1950 a St. Louis, in Missouri, Dolan è stato ordinato sacerdote nel 1976, dopo aver studiato al Cardinal Glennon College e al Pontificio Collegio Americano del Nord a Roma, dove impara anche l’italiano. Nel 2001 Giovanni Paolo II lo nomina vescovo ausiliare della sua città, per poi affidargli l’arcidiocesi di Milwaukee nel 2002. Nel 2009 è chiamato a guidare l’arcidiocesi di New York, una delle sedi più prestigiose della Chiesa mondiale, da Benedetto XVI, che nel 2012 lo fa anche cardinale. Tra il 2010 e il 2013 ha presieduto la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, assumendo un ruolo chiave nei rapporti tra la Chiesa e la politica americana.
CARDINALE CONSERVATORE
Già in lizza per il conclave del 2013, quando prevalse Bergoglio, Dolan è una delle figure più in vista della Chiesa cattolica statunitense. Uomo di grande carisma mediatico, è presente sui social, frequenta talk show e non esita a commentare fatti di attualità e passi del Vangelo con uno stile diretto e affabile. Ma dietro il tono colloquiale si cela una postura teologica e politica netta, spesso critica verso l’amministrazione Biden, il Partito Democratico e le riforme della Chiesa sotto papa Francesco.
La sua preghiera inaugurale alla cerimonia di insediamento di Trump nel 2017 divenne il simbolo di un’alleanza profonda tra una parte della Chiesa americana e il trumpismo. Nel 2018 un suo articolo sul Wall Street Journal misurò tutta la lontananza dalla visione e dall’operato dei Democratici: dal suo punto di vista, la sinistra americana avrebbe abbandonato i cattolici, impelagandosi in inutili battaglie sui diritti civili e a favore delle minoranze. Una posizione molto simile ai refrain che oggi informano le uscite pubbliche dei membri dell’amministrazione Usa.
LO SCONTRO CON VANCE
A gennaio 2025, il cardinale Dolan è stato protagonista di uno scontro a distanza con il vicepresidente J.D. Vance, che aveva accusato i vescovi americani di “essere più interessati ai fondi pubblici che ai migranti”, sostenendo che la Chiesa riceverebbe oltre 100 milioni di dollari l’anno per gestire programmi di accoglienza. In quell’occasione Dolan ha replicato con fermezza, nonostante la sua vicinanza alla galassia trumpiana, definendo le parole di Vance “non solo dannose, ma anche inaccurate” e ricordando che l’impegno della Chiesa per i migranti risale alle sue origini e che le collaborazioni con lo Stato avvengono su richiesta delle autorità civili, che vedono nella Chiesa un partner efficiente e trasparente. Un modo anche per stroncare sul nascere eventuali manovre volte a riconsiderare l’appoggio del governo Usa alla Chiesa cattolica.
LE CHANCE DI DOLAN PER IL CONCLAVE
Sebbene Dolan sia considerato teologicamente rigoroso su temi etici e morali – in particolare su aborto, matrimonio e famiglia – si tratta comunque di una figura pragmatica e istituzionale, capace di dialogare anche con mondi lontani dalla sua visione conservatrice. Questa capacità di tenere insieme anime diverse della Chiesa lo renderebbero una figura trasversale, peraltro ben nota al Collegio cardinalizio, vista la centralità di New York nella geografia ecclesiale.
Ma la vicinanza a Trump pare giocare a suo sfavore in vista del conclave. La sua candidatura, più suggerita da Trump che emersa da ambienti vaticani, rischia di ritorcersi contro lo stesso cardinale in un contesto dove l’elezione papale tende a sfuggire alle logiche geopolitiche troppo marcate. Insomma, l’associazione troppo stretta con il tycoon potrebbe rivelarsi un ostacolo, più che un trampolino.