La connessione universale è resa possibile dal lavoro non tutelato di milioni di persone rendono realtà l’intelligenza artificiale attraverso la fatica umana. Per questo Papa Leone XIV pensa a una nuova Rerum novarum. La riflessione dell’analista Giuseppe De Ruvo per Limes
In piena rivoluzione digitale, la Chiesa si trova oggi in una posizione tanto nuova quanto complessa: per continuare a essere rilevante nella vita degli individui deve mantenere uno sguardo vigile sui mutamenti profondi che attraversano ogni epoca. Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi predittivi rappresenta una sfida senza precedenti e arriva a mettere in discussione persino il potere pastorale della Chiesa, che per secoli è stata alla guida delle coscienze. Ne scrive lungamente Giuseppe De Ruvo, nell’articolo “Rerum novissimarum? Leone, l’AI e la questione Burina“, nell’ultimo numero di Limes. De Ruvo ci fa riflettere in merito al ruolo del risultato computazionale vissuto come oggettivo, neutro, infallibile, che ora assume un’autorità epistemologica molto simile a quella che un tempo apparteneva in esclusiva alla religione. Siamo quindi nel cuore di una rivoluzione non solo digitale, ma ontologica: un cambiamento che investe la nostra stessa concezione di umanità, di verità e di relazione.
DA RERUM NOVARUM A RERUM NOVISSIMARUM?
Quando Robert Francis Prevost ha scelto il nome di Papa Leone XIV, il richiamo a Papa Leone XIII non è stato affatto casuale. Fu Leone XIII, nel 1891, a firmare l’enciclica Rerum Novarum, il primo grande tentativo della Chiesa di Roma di confrontarsi con le trasformazioni introdotte dalla rivoluzione industriale e il loro impatto sul tessuto sociale.
Il capitalismo aveva da poco iniziato il suo corso, svuotando le campagne e riempiendo le periferie delle città di lavoratori affamati, privi di diritti o tutele. Il socialismo, allora percepito come ateo e sovversivo, era la sola forza capace di dare voce alla sofferenza del mondo operaio. Per evitare che fosse l’unica a farlo, Leone XIII scelse di intervenire: nell’enciclica non condannò né assolse il capitalismo industriale, ma propose un modello basato sul riconoscimento reciproco tra padroni e operai nel nome di un’uguaglianza possibile e cristiana, capace di difendere gli interessi degli uni e la dignità degli altri.
UNA NUOVA DOTTRINA SOCIALE
Se la Chiesa intende mantenere un ruolo attivo nelle coscienze contemporanee, dovrà necessariamente fare i conti con la complessità del presente. È in questo scenario che De Ruvo immagina la scrittura di una nuova enciclica: una Rerum Novissimarum, versione aggiornata al XXI secolo. Due le domande cruciali: quale sarà il destino del lavoro in un mondo sempre più robotizzato? E ancora, chi sono oggi i lavoratori dell’intelligenza artificiale?
I “lavoratori dell’AI” rappresentano una categoria difficile da definire: recente, frammentata, quasi invisibile e priva di rappresentanza sindacale. Escludendo ingegneri e sviluppatori, De Ruvo individua due grandi gruppi: il primo, soprattutto in Nord America, è costituito da chi costruisce, mantiene e sorveglia le grandi infrastrutture del tecno-capitalismo – dai data center di OpenAI e Microsoft alle fabbriche di Tesla e SpaceX; il secondo comprende gli operai dell’assemblaggio e dell’industria dei semiconduttori nel Sud-Est asiatico.
“La connessione universale è resa possibile dal lavoro non tutelato di milioni di persone. Nessuna immediatezza del cloud: se esiste, è solo grazie alla fatica mediata di chi lavora. La comunicazione istantanea resta, ancora oggi, una prerogativa angelica.” (G. De Ruvo)
RIMETTERE L’UOMO AL CENTRO DEL VILLAGGIO
In questo contesto, il messaggio cristiano dell’amore e della cura per il prossimo acquista un significato ancora più urgente e universale. Non si tratta più soltanto di interrogarsi sul destino del lavoro o sul funzionamento degli algoritmi, ma di riconoscere che al centro di ogni rivoluzione tecnologica resta l’essere umano: con la sua dignità, le sue fragilità e il suo desiderio di senso. La sfida per la Chiesa non è competere con l’autorità epistemica dell’intelligenza artificiale, ma riaffermare lo spazio insostituibile della coscienza: quella domanda viva che nessun algoritmo, per quanto avanzato, potrà mai formulare né comprendere. In un tempo in cui tutto sembra prevedibile e calcolabile, il compito pastorale torna ad essere quello di custodire l’invisibile: prendersi cura di quella voce interiore che sente, si interroga, dubita.