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Cosa faranno gli Stati Uniti e l’Ue con l’Iran

Iran

L’assassinio del fisico nucleare Mohsen Fakhrizadeh è solo l’ultima di una lunga scia di eliminazioni di scienziati iraniani coinvolti nel programma nucleare. L’articolo di Paolo Quercia

L’assassinio del fisico nucleare Mohsen Fakhrizadeh è solo l’ultima di una lunga scia di eliminazioni di scienziati iraniani coinvolti nel programma nucleare. Segue di qualche mese l’uccisione di Abdullah Ahmed Abdullah, il numero due di al-Qaeda ucciso a Teheran ad agosto, ma la cui identità è stata rivelata solo qualche giorno fa. Che siano extrajudiciary killing compiute da avversari dell’Iran o operazioni di altra natura è difficile da dirsi. Non è scontato che siano necessariamente tentativi di allargare il solco tra Washington e Teheran.

Sembrano, comunque, episodi secondari, indicatori che qualche meccanismo si è messo in moto più che reali portatori di clamorose novità. Ci preparano ad una fase di incertezza per il dossier iraniano che prenderà avvio il 20 gennaio, con l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca. Da quella data sino alle presidenziali iraniane – quando il fronte dei modernisti già fortemente indebolito dopo le elezioni parlamentari del marzo scorso si prepara a un’annunciata sconfitta contro i conservatori e nazionalisti – vi sono appena cinque mesi di tempo in cui potrebbero maturare cambiamenti importanti, prima che il clima politico muti notevolmente.

Il tempo per un cambio di strategia è poco. Biden eredita un programma sanzionatorio contro Teheran ormai è avviato sulla strada della massima pressione economica, che nelle prossime settimane sarà ulteriormente inasprita, secondo la linea della transizione conflittuale con cui il presidente uscente vuole bruciare i ponti dietro di sé per impedire ai democratici di cambiare rotta.

Com’è cambiata la politica Usa verso Teheran

Ma il punto è che non sono i bocconi avvelenati con cui Trump potrà disseminare il terreno di qui al 20 gennaio, né le misteriose uccisioni di personaggi di rilievo iraniani a poter modificare sostanzialmente il corso degli eventi. Il vero problema per Biden è che la politica iraniana di Trump è stata, dal punto di vista americano, un successo. L’Iran è stato isolato e messo nell’angolo; è stata colpita duramente la sua economia con sanzioni che – pur unilaterali – hanno visto i Paesi europei (ed i principali Paesi terzi) piegarsi alla forza finanziaria statunitense; è stata avviata la costruzione di un’alleanza regionale di Paesi sunniti con Israele in funzione anti-iraniana; è stata ridotta e contenuta l’influenza di Teheran nella regione, in particolare dopo l’eliminazione del generale Qassem Soleimani, a inizio anno.

L’Iran non è riuscito a reagire a nessuna di queste azioni, se non allontanandosi a sua volta dal Jcpoa e ravviando le attività di proliferazione nucleare; con ciò aumentando il suo isolamento anche rispetto ai Paesi europei firmatari dell’accordo.

Biden e la sua squadra, pur essendo sostanzialmente le stesse persone che nel 2015 negoziarono con l’Iran l’accordo sul Jcpoa e che hanno fortemente criticato la decisione di Trump di uscirne nel 2018, oggi si trovano nel paradosso di dover invertire una politica che ha dato all’America un importante vantaggio strategico sul suo avversario medio-orientale. Questo stato di cose renderà più complicato per il nuovo presidente americano trasferire le differenze politiche ed ideologiche con Trump in una inversione della sanction policy verso Teheran.

Le incognite di un nuovo accordo

Lo stesso Biden è consapevole che i tempi sono cambiati e non potrà non sfruttare a proprio vantaggio il guadagno negoziale che Trump ha procurato. Ciò vuol dire che il ritorno allo status quo è sostanzialmente impossibile, essendo gli Usa fuori dall’accordo, avendone l’Iran violato i termini e con il rapporto di forze ora divenuto più sfavorevole a Teheran.

Un eventuale nuovo accordo dovrà essere frutto di un nuovo negoziato che, per forza di cose, non potrà limitarsi solo alla questione nucleare e dovrà vedere l’Iran disposto a maggiori concessioni anche in altri campi. Uno scenario che non è accettabile nemmeno per l’attuale presidenza moderata della Repubblica islamica, che chiede che siano gli Usa a rientrare nell’accordo prima che Teheran torni al rispetto dei parametri della compliance nucleare; e che l’intesa può essere ripristinata solo nei limiti di quanto fu deciso nel 2015, escludendo cioè di discutere degli assetti regionali, della questione dei diritti dell’uomo e di quella relativa al supporto al terrorismo.

Nonostante questo, è chiaro che non tutto è determinato, che il cambio di presidenza produrrà delle inevitabili incoerenze nella politica estera Usa e che le speranze di un miglioramento delle relazioni con l’Iran sono nuovamente una variabile possibile. L’incertezza della situazione vuol dire, però, che vi sono numerosi dubbi che la nuova amministrazione riesca ad avviare motu proprio significativi cambiamenti.

Una finestra di opportunità diplomatica

E qui diviene cruciale il ruolo dell’Europa e degli alleati degli Usa su cui Biden vuole nuovamente costruire un nuovo equilibrio internazionale. Dovrà essere proprio l’Europa a dimostrare di riuscire a colmare il gap diplomatico tra Washington e Teheran, in particolare portando in dote qualcosa alla politica estera e alla sicurezza americana. Senza questo ruolo di Germania, Francia e Regno Unito c’è il rischio che le cose restino così come sono oggi, visto che Trump lascia gli Stati Uniti in un Medio Oriente nel caos ma in cui le posizioni strategiche americane sono più forti di quattro anni fa.

L’Europa deve tenere conto di questo ed iniziare a lavorare per convincere gli iraniani a rientrare nel percorso di compliance dell’accordo anche in assenza di un rientro degli Usa nel Jcpoa.

La situazione al momento pare dunque quella di uno stallo che lo stesso Biden non riuscirà a modificare in assenza di un cambio di politica a Teheran. Potrà, al più, dare qualche segnale di discontinuità introducendo qualche waiver o licenza per favorire un alleggerimento della situazione umanitaria dovuta al Covid-19. Se l’Europa riuscirà ad aprire una non facile via diplomatica nelle posizioni iraniane, potrà sfruttare l’atteggiamento più aperturista di Biden per resettare la partita e riavviare una nuova fase. Nel difficile gioco iraniano l’Europa ha ora una finestra di opportunità, non facile da cogliere ma molto importante. È necessario però che compia una chiara scelta di giocare fino in fondo il suo ruolo geopolitico, verso Teheran come verso Washington.

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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