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Cosa succede in Cina, Russia e Iran su difesa e non solo

In primo piano nel Taccuino Estero di questa settimana, l’adesione di Finlandia, Belgio, Norvegia, Danimarca, Olanda e Svezia a “Instex”, lo special purpose vehicle creato da Francia, Germania e GB per continuare a commerciare con l’Iran aggirando le sanzioni Usa. Nella sezione “notizie dal mondo”, il nuovo missile ipersonico russo Avangarde sarà operativo già nel 2020…

PRIMO PIANO:  IRAN E NUCLEARE, NUOVE ADESIONI EUROPEE A “INSTEX”

A che punto è la campagna di “massima pressione” degli Usa contro la Repubblica Islamica? La domanda è lecita, se consideriamo che, dopo l’alta tensione di quest’estate nello Stretto di Hormuz, dove si è letteralmente sfiorata la guerra aperta, la disfida tra l’amministrazione Trump e gli ayatollah sembra essere scomparsa dai radar della grande stampa.

Molto, probabilmente, si deve all’uscita di scena dell’uberfalco John Bolton, cui The Donald a luglio ha dato il benservito (via Twitter) anche in virtù dell’irriducibile bellicismo del suo ormai ex terzo Consigliere per la Sicurezza Nazionale, praticamente l’ultimo dei collaboratori del presidente che sognava, e lavorava per, la resa dei conti finale contro l’Iran.

Anche nel dopo Bolton, tuttavia, la linea degli Usa è rimasta la stessa, incluso l’embargo petrolifero con cui l’America punta, riuscendoci, a mettere in ginocchio Teheran. Le sanguinose rivolte scoppiate due settimane fa per il caro-benzina sono la dimostrazione plastica dell’estrema difficoltà in cui versa il governo iraniano, costretto – come ci ha ricordato qualche giorno fa Ahmad Rafat – a varare una legge di bilancio in cui mancano ben due terzi degli stanziamenti fatti nell’esercizio precedente.

Per uscire dall’angolo in cui l’ha costretta la furia trumpiana, la Repubblica Islamica non ha altri strumenti a disposizione se non lo stesso cui è ricorso nei mesi precedenti nel tentativo di convincere almeno i paesi europei a prendere le distanze dall’America: il ricatto nucleare.

Dallo scorso maggio, a un anno esatto dal ritiro degli Usa dal JCPOA, l’accordo nucleare con l’Iran negoziato da Barack Obama e firmato a Vienna nel luglio 2015, Teheran ha cominciato così a violare le disposizioni del JCPOA, anche se un passo alla volta.

La minaccia del presidente Rouhani consiste nel procedere, ogni sessanta giorni, a un nuovo strappo dagli obblighi iscritti nel patto nucleare (l’ultimo risale alla settimana scorsa, quando Teheran ha annunciato il riavvio dell’arricchimento dell’uranio nella centrale di Fordow): una tattica finalizzata a instillare la paura in Europa e indurla così a salvare il salvabile.

È una tattica, quella del regime, che ha un corollario fondamentale: se l’Europa – è il ragionamento fatto a Teheran – vuole evitare che ci dotiamo della bomba, deve fare in modo che le casse della Repubblica Islamica non finiscano prosciugate come conseguenza delle sanzioni Usa. Deve, in altre parole, compensare l’embargo americano continuando, se non ad acquistare il greggio iraniano (cosa letteralmente impossibile), ad alimentare il commercio bilaterale.

Il corollario in questione ha anche, come sappiamo, un nome: si chiama Instex ed è lo “special purpose vehicle” che Francia, Germania e Gran Bretagna, con la regia dell’Ue, hanno messo in piedi poco meno di un anno fa con il proposito di creare un canale legale per i commerci tra Ue e Iran, anche se limitato ai beni umanitari, schermandoli dalle sanzioni Usa.

Instex in verità mai potrà compensare l’ammanco per l’Iran derivante dal potere interdittivo del dollaro: al di là, come si diceva, di consentire il trasferimento in Iran di soli generi alimentari o medicine, esso non offre alcun tipo di salvacondotto alle aziende europee che volessero commerciare con la Repubblica Islamica, esponendole così alle pesanti conseguenze delle sanzioni Usa.

Al di là della sua dubbia efficacia, Instex rappresenta comunque un modo – ovviamente tutto simbolico – per l’Europa per dissociarsi dalla campagna di massima pressione americana e per lanciare al tempo stesso segnali di fumo all’Iran, cercando di scongiurare il peggio.

Tollerato a denti stretti dagli Usa anche per la sua sostanziale innocuità, Instex rappresenta dunque una sorta di dichiarazione formale, anche se priva di sostanza, di indipendenza dell’Europa dalla politica estera trumpiana. Una scelta che, non a caso, a Teheran danno mostra di apprezzare molto, non foss’altro per il gusto di mostrare l’isolamento degli Usa su questo dossier.

Di Instex si è tornato a parlare in questi giorni dopo che il vice ministro degli Esteri iraniano, Gholamreza Ansar, ha annunciato un imminente nuovo ciclo di colloqui diplomatici tra Teheran e Bruxelles per mettere a punto, e finalmente far decollare, Instex.

In attesa che questi meeting si materializzino, venerdì scorso dall’Europa è partita una buona notizia per gli ayatollah: i governi di Finlandia, Belgio, Norvegia, Danimarca, Olanda e Svezia hanno emesso una dichiarazione congiunta – rilanciata con una selva di tweet – con la quale hanno annunciato la loro adesione a Instex.

https://twitter.com/ministerBlok/status/1200414374609006593

https://twitter.com/NordrumLars/status/1200373049247379456

 

 

Nel comunicato, i paesi in questione precisano di ritenere fondamentale il mantenimento in vita del JCPOA, da essi considerato come “uno strumento chiave per il regime globale di non proliferazione e un importante contributo alla stabilità nella regione”.

Tale premessa vale per marcare il punto: visto “il continuo appoggio europeo all’accordo e gli sforzi in corso per implementarne la parte economica e agevolare il commercio legittimo tra Europa ed Iran”, Finlandia, Belgio, Norvegia, Danimarca, Olanda e Svezia fanno sapere di “essere in procinto di diventare azionisti” di Instex.

Fermi restando i limiti insormontabili di Instex,  l’allargamento dei suoi partecipanti è atto non privo di una sua specifica valenza politica. A fare la fronda agli Usa, insomma, non sono più la solita coppia franco-tedesca con l’aggiunta della Gran Bretagna, ma una pattuglia assai più cospicua di membri dell’Unione con il concorso esterno della Norvegia.

Aleggia, sullo sfondo, un sospetto dettato dalla tempistica: non può sfuggire infatti che le nuove adesioni a Instex arrivano nello stesso momento in cui, a Bruxelles, si insedia la nuova Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen e fortemente voluta dal presidente francese Emmanuel Macron. Dal leader, cioè, che più di altri si è adoperato per salvare il JCPOA dallo sfascismo americano, per fungere da ponte tra Europa ed Iran e per tentare una difficile mediazione tra la stessa superpotenza e il suo avversario mediorientale.

Manina di Macron a parte, restano in piedi tutti i dubbi su una politica, quella dell’Europa nei confronti della Repubblica Islamica, che pare concepita più per infastidire Washington che per preservare la pace nel Levante o per centrare chissà che altro obiettivo, foss’anche adoperarsi perché un regime dittatoriale e incline all’avventurismo si procuri l’arma finale e scateni così una corsa all’atomo nella regione più esplosiva del pianeta.

 


NOTIZIE DAL MONDO

Sospeso in Cina il progetto della quinta portaerei

Secondo quanto hanno riferito insiders dell’Esercito di Liberazione Popolare al quotidiano di Hong Kong South China Morning Post, la Marina cinese sta procedendo con la costruzione di una quarta portaerei, anche se i piani per realizzarne un quinto esemplare sono stati sospesi a causa dei costi elevati e di ostacoli tecnici al momento insormontabili.

Oltre a disporre della portaerei Lioaoning, residuato sovietico acquistato anni fa, la Cina sta mettendo a punto il primo esemplare di portaerei autoctona, la “Type 001”, e procedendo da due anni a questa parte con la costruzione di un modello ancora più avanzato, la “Type 002”.

Nel 2021, quindi, dovrebbero prendere il via i lavori per la realizzazione di un altro esemplare di “Type 002”, che come il precedente dovrebbe essere equipaggiato con un sistema di catapulte elettromagnetiche per il decollo dei caccia J-15, gli unici aerei da guerra in dotazione alla Cina in grado di decollare da una portaerei.

“Non ci sono piani”, ha rivelato però una fonte al SCMP, “per costruire ulteriori portaerei”. Il motivo risale ai “problemi tecnici” individuati dagli ingegneri che rendono difficoltoso, dato il know-how attualmente a disposizione della Cina, lo sviluppo di un modello di portaerei di nuova generazione che sia magari, a differenza degli altri modelli, a propulsione nucleare. “Questi problemi”, ha ammesso una fonte, “non saranno risolti nel breve periodo”.

Un’accelerazione al programma delle portaerei potrebbe arrivare dalla fusione, avvenuta con una cerimonia tenutasi martedì a Pechino, tra la più China State Shipbuilding Corporation (CSSC)  e la China Shipbuilding Industry Company (CSIC), che ha dato vita alla più grande azienda di cantieristica al mondo, che manterrà il nome CSIC: un conglomerato forte di 310 mila dipendenti e di un valore di mercato pari a 112 miliardi di dollari.

Tuttavia, sempre a detta degli insiders, la fusione porterà sì in dote maggiore competitività al neonato gruppo della cantieristica, ma difficilmente comporterà un’accelerazione al programma delle portaerei made in China.

Operativo nel 2020 il nuovo missile ipersonico russo

A circa due mesi dal giorno in cui Vladimir Putin ha definito “invincibile” il nuovo arsenale russo di armi ipersoniche, Mosca ha mostrato ad alcuni ispettori Usa, in obbedienza alla trasparenza dettata dal trattato nucleare New Start, un esemplare di missile ipersonico “Avangard”.

Testato per la prima volta tre anni fa, e rivelato al pubblico nel corso del 2018, l’Avangard è un missile intercontinentale che sfrutta le forze dell’aerodinamica per ascendere nell’atmosfera ad una velocità 27 volte superiore a quella del suono: motivo per cui lo Zar ha parlato del suo sviluppo come un passo equivalente al lancio nel 1957 dello Sputnik.

Secondo alcuni report dell’intelligence Usa realizzati questa primavera, l’Avangard potrebbe diventare operativo già nel 2020, mettendo la Russia in posizione di notevole vantaggio tanto rispetto agli Usa quanto alla Cina.

Testimoniando a marzo alla Commissione Forze Armate del Senato, il comandante delle forze nucleari Usa, gen. John Hyten, fu costretto ad ammettere che l’America non sarà in grado di mettere in campo scudi adeguati. “Non abbiamo in dotazione”, aveva dichiarato il capo dell’U.S. Strategic Command, “strumenti di difesa che possano opporsi all’impiego di una simile arma contro di noi”.

Hyten ha anche evidenziato che “tanto la Russia quanto la Cina stanno perseguendo aggressivamente capacità ipersoniche”, sottolineando che gli Usa si stanno limitando per ora a “osservarli mentre testano questi strumenti”.

Guai (turchi) in vista per il summit Nato di domani

Ci sarà ben poco tempo domani a Londra per celebrare i 70 anni della Nato. Il summit, infatti, sarà monopolizzato dal caso della Turchia, che ha deciso di opporsi ai nuovi piani di difesa dell’Alleanza nei Paesi Baltici e in Polonia finché gli altri 28 membri non avranno manifestato ad Ankara piena solidarietà nei confronti della sua lotta contro le milizie curdo-siriane dello YPG (quelle, per inciso, che Ankara ha attaccato il mese scorso invadendo il Nordest della Siria).

Secondo le fonti di Reuters, l’inviato turco alla Nato avrebbe addirittura ricevuto la consegna di porre il veto al nuovo schieramento Nato ad Est – con il risultato di mettere in discussione, o comunque ritardarne, la sua implementazione – a meno che l’Alleanza non riconosca formalmente lo YPG come gruppo terroristico.

L’irritazione della Nato per i capricci del Sultano è naturalmente alle stelle. Per un diplomatico occidentale, la Turchia “sta tenendo in ostaggio gli europei dell’Est, bloccando l’approvazione di questa pianificazione militare finché non ottterrà le concessioni” richieste.

Un altro diplomatico non ha potuto fare a meno di notare la tempistica sfortunata della mossa di Ankara, che arriva pochi giorni dopo il siluro di Macron contro la Nato definita in stato di “morte cerebrale” e in un momento storico in cui la leadership Usa è, per usare un eufemismo, traballante.

Resta in piedi, tuttavia, la possibilità di un compromesso, visto che al summit – secondo quanto hanno rivelato a Reuters due fonti diplomatiche – saranno discussi anche i piani per difendere la Turchia in caso di attacco esterno.

Le speranze di una risoluzione di queste ed altre controversie tra Ankara e i suoi partner Nato sono affidate, a quanto pare, al bilaterale che il presidente turco Erdogan avrà con il collega francese Macron e la cancelliera Merkel, durante il quale saranno discusse le operazioni militari turche in Siria.

La “non interferenza” degli altri membri Nato nella strategia siriana di Ankara potrebbe essere, secondo un’altra fonte diplomatica, il prezzo da pagare per superare l’ostacolo.

 


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