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Cosa succede (e perché) tra Serbia e Kosovo

Tra Serbia e Kosovo scoppierà una guerra? Ecco cosa sta succedendo. L’articolo di Marco Orioles

Quella di ieri è stata una serata di alta tensione tra Serbia e Kosovo, tra le proteste dei cittadini kosovari di etnia serba per un provvedimento di Pristina considerato inaccettabile e le accuse reciproche di aver mobilitato le truppe.

Le nuove disposizioni sulle targhe e i documenti di identità

Come riporta il Sole24Ore, l’oggetto della contesa è una disposizione che rende obbligatorio l’uso di targhe automobilistiche con l’acronimo RKS, cioè Repubblica del Kosovo, ponendo fine alla tolleranza per le targhe emesse dalle istituzioni serbe nelle quattro municipalità del Nord del Paese dove sono presenti maggioranze di etnia serba.

Il provvedimento entra in vigore oggi e i proprietari di automobili hanno tempo fino alla fine di settembre per reimmatricolare il proprio mezzo.

Ad aggravare il quadro ci sarebbe un’altra disposizione secondo cui gli stessi cittadini kosovari di etnia serba dovranno detenere documento di identità rilasciato dalle istituzioni kosovare per espatriare, contrariamente a quanto successo fino ad oggi quando era sufficiente esibire un documento serbo.

Gli scontri

Tanto è bastato per alimentare gli scontri. Come riferisce Rai News, la popolazione serba di Kosovo e Metohija ha protestato nelle principali autostrade della regione innalzando barricate mentre centinaia di persone hanno bloccato la strada principale tra Pristina e Raska.

Mentre le sirene risuonavano nella città di Kosovska Mitrovica e successivamente anche a Zugin Potoc, e dalle chiese e monasteri si elevava il suono delle campane, gruppi serbi avrebbero aperto il fuoco contro la polizia kosovara al confine con la Serbia: lo ha detto il premier kosovaro, Albin Kurti, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa turca Anadolu.

Nel frattempo altri manifestanti bloccavano le strade che conducono ai valichi di confine di Jarinje e Bernjak, costringendo le autorità a deciderne la chiusura.

Voci incontrollate di mobilitazione militare

È in questo momento di acuta tensione che si diffondono incontrollate le voci di movimenti di truppe. Secondo un rumor circolato nei social, la Serbia avrebbe inviato l’esercito al confine con il Kosovo, in una notizia poi smentita dalle stesse forze armate con un comunicato diffuso sul proprio sito.

Citando il quotidiano Vecherne Novosti, l’Agenzia russa Tass, secondo quanto riportato dall’Agi, rendeva noto che le forze speciali kosovare erano state spostate d’urgenza da Pristina alle province settentrionali.

I media locali nel frattempo riferivano che la missione internazionale Kfor, sotto la guida della Nato, aveva prontamente inviato militari a pattugliare le strade.

Il comunicato di Kfor

Come racconta Rai News, la stessa Kfor tuttavia diffondeva in nottata una nota stampa in cui affermava che “sta monitorando da vicino la situazione ed è pronta a intervenire se la stabilità fosse messa a repentaglio”. Nel testo si aggiungeva che “la situazione generale della sicurezza nei comuni settentrionali del Kosovo rimane tesa”.

Le parole di fuoco di Vucic

Ci pensava il presidente serbo Aleksandar Vucic nel frattempo a gettare benzina nel fuoco quando, parlando in serata alla nazione, ha affermato che “i serbi del Kosovo non tollereranno altre persecuzioni. Cercheremo la pace, ma lasciatemi dire che non ci arrenderemo. La Serbia non è un Paese che si può sconfiggere facilmente come lo era ai tempi di Milosevic”.

Convocando a tarda ora una riunione degli alti gradi dell’esercito, Vucic attribuiva, come riferisce il New York Times, le responsabilità degli scontri a Kurti, paragonandolo a un “nuovo Zelensky” che intende “combattere contro la grande egemonia serba”.

L’intimidazione del parlamentare

Ma le parole più incendiarie sono giunte da un parlamentare serbo del partito di Vucic, Vladimir Djukanovic, che con un tweet riportato dallo stesso New York Times affermava, con un chiaro riferimento alle operazioni russe in Ucraina, che “la Serbia sarà costretta ad avviare la denazificazione dei Balcani”.

L’intervento a gamba tesa della Russia

Nonostante in un incontro notturno con l’ambasciatore americano il Governo di Pristina annunciasse che il provvedimento sulle targhe veniva rimandato di un mese, anche la Russia non rinunciava ad alzare la voce.

In un comunicato della Tass riportato dall’Agi, la portavoce del Ministero degli esteri di Mosca Maria Zakharova definiva le disposizioni sulle targhe e sui documenti di identità un altro passo per espellere la popolazione serba dal Kosovo.

“Chiediamo – continuava la Zakharova – a Pristina, agli Stati Uniti e all’Ue che la appoggiano, di cessare le provocazioni e di rispettare i diritti dei Serbi in Kosovo. (…) I leader dei kosovari sanno che i serbi non rimarranno indifferenti quando si tratta di un attacco diretto alle loro libertà, e si prepareranno a uno scenario militare”.

La portavoce aggiungeva quindi che un tale sviluppo degli eventi “è un’altra prova del fallimento della missione di mediazione dell’Ue. (…) Questo è anche un esempio del posto che è stato preparato per Belgrado nell’Ue, offrendo di fatto alla Serbia di sopportare la mancanza di diritti dei suoi connazionali”.

Articolo pubblicato su Start Magazine. 

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