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Così la premier finlandese Sanna Marin e quella svedese Magdalena Andersson sfidano il machismo di Putin

Sanna Marin

I Graffi di Damato

Questo 2022, pur contrassegnato da una guerra fra due uomini, Putin e Zelensky, diventati subito nell’immaginario collettivo Golia e Davide, per l’imponenza nucleare del primo e l’astuzia coraggiosa dell’altro, sta diventando l’anno delle donne per il ruolo crescente che stanno assumendo anche ai fini della guerra in Ucraina.

La premier finlandese Sanna Marin e quella svedese Magdalena Andersson hanno letteralmente rotto o rovesciato lo schema dietro al quale Putin aveva rivendicato il diritto di fare la guerra all’Ucraina, senza neppure dichiararla, per ripararsi dalla Nato. Che attraverso Zelensky, suo sostanziale manutengolo, avrebbe deciso di strozzare praticamente la Russia su commissione, a sua volta, degli Stati Uniti di Joe Biden.

Le richieste di adesione alla Nato delle neutrali Finlandia e Svezia dimostrano -senza che le due premier abbiano avuto bisogno di fare sparare un solo colpo di pistola dai loro eserciti ben forniti di armi- che il problema di Putin è lui stesso. Egli fa tanta paura ai vicini da spingerli nelle braccia dell’alleanza atlantica.

Ciò indebolisce il nuovo zar, diventato via via più simile a Breznev della defunta Unione Sovietica che a Pietro il Grande, non solo all’esterno ma anche, anzi soprattutto all’interno della Russia. Dove, per quanto l’informazione sia controllata, non può che serpeggiare sempre di più il sospetto che sia il Cremlino a isolarsi dal mondo e non il mondo a volere isolare il paese di non ricordo più quanti fusi orari, abbastanza vasto comunque per poter appagare le ambizioni di potere di un governante normale.

In questa situazione, con un quadro militare e politico così rovinosamente rovesciato ai suoi danni, è a dir poco paradossale l’ossessione che continua a dimostrare Putin. I cui generali, o sottograduati, pensano adesso di rendere ancora più devastanti le loro bombe destinate agli ucraini scrivendovi sopra frasi di dileggio per la loro vittoria al festival europeo della canzone. Decisamente più modesto ma ugualmente significativo è ciò che le donne stanno combinando, diciamo così, nella politica italiana. Che si divide fra la guerra pur verbale di uomini nel cosiddetto centrosinistra, in particolare fra Conte e Di Maio sotto le cinque stelle e fra lo stesso Conte ed Enrico Letta nel “campo largo” di là da venire, e la guerra tutta femminile scoppiata nel cosiddetto -anch’esso- centrodestra, di cui si stenta sempre più a cogliere un carattere davvero unitario.

Mentre la ministra forzista Mara Carfagna e l’ex ministra della destra Gorgia Meloni si contendono, forse senza neppure accorgersene, un progetto di rimescolamento delle carte nel loro campo, l’una puntando sull’area diffusa ma disorganica dei centristi e l’altra sulla demolizione del rapporto privilegiato creatosi fra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, il partito azzurro dell’ex presidente del Consiglio è esploso in una guerra tutta al femminile.

La ministra Mariastella Gelmini non ha retto all’ultimo torto che ritiene di avere subìto da Berlusconi con la promozione della sua fedele e ormai portavoce Licia Ronzulli a commissaria politica, più o meno, della Forza Italia lombarda. E all’ombra di questa apparente rissa locale, oltre che femminile, è aumentata la già alta temperatura creatasi nel centrodestra col già ricordato rapporto privilegiato fra Berlusconi e Salvini: un rapporto che tuttavia non impedisce al leader leghista di rincorrere e spesso precedere Conte in un’azione di continuo contrasto a Draghi. Il quale come presidente del Consiglio avrebbe davvero da mettersi le mani fra i capelli. Ma, beato lui, appare tranquillo, salvo qualche accigliamento di tanto in tanto per la confusione nella maggioranza, inevitabilmente crescente nella lunga coda di questa avventurosa legislatura.

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