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Eliminare gli uiguri. Il piano di Pechino

Eliminare Uiguri

Un report indipendente ha dimostrato che Pechino vuole eliminare gli uiguri attraverso centri di detenzione nello Xinjiang, ma i media statali li chiamano “centri di rieducazione” o “scuole di formazione professionale”. Ecco cosa succede veramente lì dentro

Le presunte azioni del governo cinese nello Xinjiang hanno violato non una ma tutte le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio, con l’intenzione di eliminare la minoranza musulmana e turcofona degli uiguri. Ad affermarlo è un rapporto indipendente di oltre 50 esperti di diritto internazionale, genocidio e Xinjiang.

UN THINK THANK INDIPENDENTE

Il report, elaborato dal think tank Newlines Institute for Strategy and Policy di Washington, ha affermato che il governo cinese “è responsabile di un genocidio in corso contro gli uiguri in violazione della Convenzione Onu sul genocidio”.

È la prima volta che un’organizzazione non governativa ha intrapreso un’analisi legale indipendente delle accuse di genocidio nello Xinjiang, la regione più occidentale della Cina. “Questo non è un documento di sostegno, non stiamo sostenendo alcun tipo di azione. Non ci sono stati attivisti coinvolti in questo report”, ha detto uno dei co-autori, Azeem Ibrahim.

I CENTRI DI DETENZIONE

Secondo il Dipartimento di Stato americano, si ritiene che fino a 2 milioni di uiguri e altre minoranze musulmane siano stati messi in centri di detenzione in tutta la Regione, dove gli ex detenuti sostengono di essere stati sottoposti a indottrinamento, abusi sessuali e perfino sterilizzazione forzata. La Cina, oltre a chiamarli “centri di rieducazione” o “scuole di formazione professionale”, nega le accuse di violazione dei diritti umani e sostiene che i centri sono necessari per prevenire l’estremismo religioso e il terrorismo.

Il 7 marzo scorso, durante una conferenza stampa, il ministro degli Esteri Wang Yi ha detto che le accuse di genocidio nello Xinjiang “non potrebbero essere più assurde”. I campi di detenzione sono descritti dai funzionari e dai media statali come parte di una campagna di riduzione della povertà e di un programma di deradicalizzazione di massa per combattere il terrorismo.

Ma per Ibrahim ci sono prove schiaccianti a sostegno dell’accusa di genocidio: “La Cina è una potenza globale, la cui leadership è l’artefice di un genocidio”.

Una foto postata sull’account WeChat dell’amministrazione giudiziaria dello Xinjiang mostra detenuti uiguri che ascoltano un discorso di deradicalizzazione in un campo di rieducazione nella prefettura di Hotan

LE PROVE DEL REPORT

Il report ha raccolto migliaia di testimonianze di esuli uiguri e documenti ufficiali del governo cinese. Sarebbero tra 1 e 2 milioni le persone detenute in ben 1.400 strutture di internamento extragiudiziale in tutto lo Xinjiang dal 2014, quando il governo cinese ha lanciato una campagna apparentemente contro l’estremismo islamico.

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LE VIOLENZE DISUMANE E I SUICIDI

L’analisi descrive le accuse di aggressioni sessuali, torture psicologiche, tentativi di lavaggio del cervello culturale e un numero imprecisato di morti all’interno dei campi. “I detenuti uiguri all’interno dei campi di internamento sono privati dei loro bisogni umani fondamentali, gravemente umiliati e sottoposti a trattamenti o punizioni disumane, tra cui l’isolamento senza cibo per periodi prolungati”, si legge nel report. “I suicidi sono diventati così diffusi che i detenuti devono indossare ‘uniformi sicure’ e viene loro negato l’accesso a materiali suscettibili di provocare autolesionismo”.

Nel video la testimonianza di Sairagul Sawytbai, una donna kazaka rinchiusa in uno dei centri di detenzione:

IL GENOCIDIO DEMOGRAFICO

Il rapporto ha anche attribuito un drammatico calo del tasso di natalità uigura in tutta la Regione – circa il 33% in meno tra il 2017 e il 2018 – alla presunta attuazione di un programma del governo cinese di sterilizzazioni, aborti e controllo delle nascite, che in alcuni casi è stato forzato sulle donne senza il loro consenso.

IL GENOCIDIO CULTURALE

Durante la repressione, i libri di testo su cultura, storia e letteratura uigura sono stati rimossi dalle classi per gli studenti dello Xinjiang. Nei campi, ai detenuti è stato insegnato con la forza il mandarino e hanno descritto di essere torturati se si rifiutavano, o non erano in grado, di parlarlo.

I ricercatori hanno citato discorsi e documenti ufficiali in cui gli uiguri e altre minoranze musulmane sono definiti ‘erbacce’ e ‘tumori’. Una direttiva del governo avrebbe invitato le autorità locali a “rompere il loro lignaggio, le loro radici, le loro connessioni e le loro origini”.

La Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio non prevede pene o punizioni specifiche per gli Stati o i governi che hanno commesso un genocidio. Ma l’analisi sostiene che i firmatari hanno la responsabilità di agire.

LA CONVENZIONE ONU SUL GENOCIDIO

La Convenzione Onu sul genocidio ha una chiara definizione di ciò che si intende per ‘genocidio’. La Cina è firmataria della convenzione, insieme ad altri 151 Paesi. L’articolo II della Convenzione afferma che il genocidio è un tentativo di commettere atti “con l’intento di distruggere, del tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.

Secondo la Convenzione, ci sono cinque modi in cui il genocidio può avvenire: uccidere i membri del gruppo; causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo; infliggere deliberatamente condizioni di vita calcolate per portare alla sua distruzione fisica in tutto o in parte; imporre misure volte a prevenire le nascite all’interno del gruppo; o trasferire forzatamente i bambini del gruppo ad un altro gruppo.

Una manifestazione di protesta a Washington

La violazione di un solo atto della Convenzione costituirebbe una constatazione di genocidio, ma il report sostiene che il governo cinese ha soddisfatto tutti i criteri con le sue azioni nello Xinjiang.

Tuttavia, qualsiasi istituzione di un tribunale penale internazionale richiederebbe l’approvazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, di cui la Cina è un membro permanente con potere di veto, rendendo improbabile qualsiasi udienza.

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