Skip to content

Oltreconfine

Gli S-400 turchi verso Mosca, summit Giappone–Asia Centrale, raid USA in Siria: che si dice Oltreconfine?

Oltreconfine, la rassegna stampa internazionale di Policy Maker

ANKARA INTENDE RESTITUIRE A MOSCA GLI S-400

La Turchia sta valutando di restituire alla Russia i sistemi antimissile S-400 acquistati quasi dieci anni fa. Lo riferisce Bloomberg, secondo cui una simile decisione metterebbe fine a una vicenda che ha creato non pochi attriti con gli Stati Uniti e con gli altri partner della Nato e potrebbe finalmente aprire la porta all’acquisto degli F-35 americani, gli aerei stealth che Ankara insegue da tempo.

Nel 2019 gli Usa esclusero la Turchia dal programma F-35 proprio per l’acquisto degli S-400, applicando l’anno successivo al Paese le sanzioni CAATSA. La Nato temeva che l’uso operativo degli S-400 accanto ad aerei occidentali potesse consegnare informazioni sensibili a Mosca; per questo i sistemi turchi non sono mai stati attivati. Secondo fonti vicine al dossier, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha affrontato l’argomento direttamente con Putin durante un incontro tenutosi la settimana scorsa in Turkmenistan.

Non era la prima volta: già nei mesi precedenti i rispettivi funzionari avevano sondato il terreno. La mossa arriva in un momento in cui Washington preme con forza perché Ankara rinunci alla tecnologia russa. L’argomento era emerso anche nell’incontro alla Casa Bianca tra Erdoğan e Trump a settembre, e l’ambasciatore americano in Turchia, Tom Barrack – uomo vicino al presidente Usa– ha detto poche settimane fa che la questione potrebbe risolversi entro quattro-sei mesi.

Abbandonare gli S-400 porterebbe benefici concreti: migliorerebbe i rapporti con Washington, facilitando la revoca delle sanzioni imposte all’industria della difesa turca e permettendo di rientrare nel programma F-35. Un alto diplomatico turco ha recentemente dichiarato di aspettarsi la rimozione delle sanzioni già l’anno prossimo. L’acquisto dei sistemi russi era avvenuto in un periodo di forti tensioni con gli alleati Nato, iniziato durante la presidenza Obama e peggiorato dopo il fallito colpo di stato del 2016 contro Erdoğan. All’epoca Ankara cercava di comprare i Patriot americani, ma lamentava la mancanza di impegno da parte di Washington, giustificando così il ricorso al sistema di Mosca.

Ora la Turchia conta sul suo ruolo di mediatore tra Russia e Ucraina per rendere Putin più disponibile. Chiede anche un rimborso per i miliardi investiti, probabilmente sotto forma di sconto sulle importazioni di gas e petrolio russo, anche se tutto resta da negoziare. In ogni caso, il costo degli S-400 appare marginale rispetto al vantaggio diplomatico che Ankara otterrebbe con la Nato e, soprattutto, con Trump. La Turchia ospita il secondo esercito più grande dell’Alleanza dopo quello americano e viene spesso criticata per la vicinanza a Mosca, accuse che Erdoğan respinge parlando di politica estera equilibrata. Lo dimostra il suo atteggiamento sull’Ucraina: niente sanzioni alla Russia, ma chiusura del Bosforo alle navi militari russe e aiuti in armi a Kiev.

SUMMIT STORICO TRA GIAPPONE E STATI DELL’ASIA CENTRALE

Come riporta Euronews, a Tokyo si è tenuto il primo summit a livello di capi di Stato tra Giappone e i cinque paesi dell’Asia Centrale: Uzbekistan, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e Turkmenistan. È stato un incontro storico per il dialogo “Asia Centrale + Giappone”, nato oltre vent’anni fa su iniziativa giapponese e ora elevato al massimo livello politico. La premier giapponese Sanae Takaichi ha accolto i presidenti della regione, sottolineando l’importanza crescente dell’Asia Centrale: un ponte tra Europa e Asia, ricco di risorse energetiche e minerali, con una popolazione giovane e un’economia in forte espansione. Ha annunciato il lancio della “CA+JAD Tokyo Initiative”, un piano per sostenere lo sviluppo industriale, la diversificazione economica e legami più stretti con il Giappone.

Tre le priorità condivise: infrastrutture di trasporto, transizione ecologica e scambi umani. Tokyo si impegna a potenziare il Corridoio Medio, la cosiddetta rotta Trans-Caspica, a collaborare su energia verde, riduzione dei rischi disastri, catene di fornitura di minerali critici e cambiamento climatico. Nasce anche una partnership sull’intelligenza artificiale Giappone-Asia Centrale. Sul fronte umano, proseguono borse di studio, cooperazione sanitaria e formazione professionale.

Il presidente uzbeko Shavkat Mirziyoyev ha ricordato le origini del dialogo e proposto vertici biennali – offrendo Tashkent come sede futura – oltre a una strategia di cooperazione fino al 2040. Ha insistito su investimenti giapponesi in infrastrutture (ferrovie veloci, aeroporti, corridoi digitali), energia rinnovabile e un hub digitale regionale per AI, cybersecurity e IoT. Il kazako Kassym-Jomart Tokayev ha enfatizzato il ruolo logistico della regione – oltre l’80% dei traffici terrestri Asia-Europa passa dal Kazakhstan – e chiesto sostegno giapponese al porto di Aktau. Ha aperto a tecnologie nipponiche per l’energia tradizionale e pulita, il nucleare sicuro e i minerali rari, proponendo piattaforme per l’agricoltura sostenibile e la sicurezza idrica.

A margine, un business forum ha visto la firma di oltre 150 accordi: tra i progetti approvati, centrali solari in Uzbekistan con Sumitomo e altre giapponesi, modernizzazione IT con Toyota Tsusho, un centro medico di Sojitz, progetti sui minerali con JOGMEC. Tokyo ha annunciato nuovi aiuti allo sviluppo, prestiti e programmi contro i disastri con UNDP. La Dichiarazione di Tokyo sigilla questi impegni, segnando una nuova fase di partnership tra Giappone e Asia Centrale in un contesto globale sempre più competitivo.

RAID AEREI USA SU OBIETTIVI DI ISIS IN SIRIA

Il 20 dicembre gli Stati Uniti hanno condotto massicci attacchi aerei contro posizioni dell’Isis nella Siria centrale, come rappresaglia per l’uccisione di due soldati americani dell’Iowa National Guard e di un interprete civile statunitense. Il New York Times ricorda che l’attentato era avvenuto a Palmira il sabato precedente ed è stato attribuito all’Isis: si è trattato dei primi caduti Usa nel paese dopo la fine del regime di Bashar al-Assad.

Il quotidiano riporta come jet da combattimento, elicotteri d’attacco e artiglieria americana abbiano colpito oltre 70 obiettivi con più di 100 munizioni, distruggendo depositi di armi, strutture operative e altri siti utilizzati dal gruppo terroristico. Ai raid, protrattisi per diverse ore fino alle prime ore di sabato, hanno partecipato anche aerei da guerra giordani. Il presidente Trump, in un discorso a un comizio in North Carolina, li ha definiti “molto riusciti”, sottolineando che l’obiettivo era impedire all’Isis di riorganizzarsi dopo la pesante sconfitta inflitta all’organizzazione terroristica durante il suo precedente mandato.

Il segretario alla Guerra Pete Hegseth ha escluso categoricamente l’inizio di una nuova guerra su larga scala in Medio Oriente, definendo l’operazione “una dichiarazione di vendetta” e promettendo che gli Stati Uniti continueranno a cacciare e eliminare i nemici senza esitazioni o tregua. Nonostante il recente ridimensionamento delle truppe americane in Siria a circa 1.000 unità – metà di quelle presenti all’inizio dell’anno –, questa azione segna una netta escalation militare, ricordando i pericoli persistenti in una regione ancora instabile.

L’Isis, pur non controllando più territori significativi, sta sfruttando il caos post-Assad per tentare di liberare migliaia di detenuti e rilanciare attacchi in tutto il mondo. Il nuovo governo siriano, guidato dal presidente Ahmed al-Sharaa, è impegnato a combattere il terrorismo mentre cerca di ricostruire un paese profondamente diviso dopo 14 anni di guerra civile. Sia il ministero degli Esteri di Damasco sia le Forze democratiche siriane a guida curda hanno espresso apprezzamento per i raid americani, considerandoli un supporto decisivo.

 

 

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Torna su