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Il super missile di Putin deve farci paura?

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I Graffi di Damato

Visto che lo ha fatto, con la solita spavalderia, e in piena guerra in corso in Ucraina, per farci “riflettere due volte” in Occidente, di cui ha scoperto tutto il satanismo con l’approvazione e la benedizione del Patriarca di Mosca, vi dirò che quel missile intercontinentale appena testato da Putin ed esibito come un gioiello, progettato per volare e colpire a 18 mila chilometri di distanza, ridotti a 5 mila nella prova, percorsi in soli 15 minuti, non mi ha fatto nessuna paura. Come non lo ha fatto al Pentagono, oltre Oceano, dove hanno peraltro precisato di essere stati informati del test con l’anticipo stabilito da un trattato internazionale sulla materia.

Le valutazioni del Pentagono sono naturalmente tutte militari, cioè tecniche. Le mie modestissime riflessioni sono puramente umorali, o politiche. Più ancora di un “bullo”, come lo ha definito in prima pagina il Giornale, ma ancor prima, qualche giorno fa, sul Corriere della Sera Walter Veltroni pur non nominandolo ma alludendo chiaramente a lui in un bell’articolo sulle paure dei bambini in tempi di guerra, Putin col suo ultimo missile mi sembra un disperato, precocemente invecchiato al Cremlino nel fisico e nella mente come il per niente compianto Leonida Breznev, ridottosi in brache di tela, prima ancora dell’invasione funesta dell’Afghanistan, a furia di sfidare e inseguire l’Occidente sfornando, impiantando e lanciando missili, per prova o davvero.

Alla fine l’allora Unione Sovietica si schiantò. Essa collassò economicamente e socialmente, consegnando la vittoria all’Occidente senza che questo avesse bisogno di sparare un solo colpo, né in aria né contro il famoso muro di Berlino demolito dagli stessi tedeschi che esso aveva separato per tanto tempo.

Bastò che noi -sì, proprio noi italiani, così generalmente considerati indecisi e inaffidabili nelle alleanze, incapaci di chiudere una guerra con gli stessi alleati dell’inizio- senza lasciarci intimidire dagli SS 2O seminati dappertutto all’Est dall’Unione Sovietica di Breznev, installassimo i Pershing dell’Alleanza Atlantica, come i tedeschi dell’Ovest, nella base siciliana di Comiso, tra le solite proteste dei pacifisti a senso unico.

Alla ricerca alquanto costosa di altri missili con cui rimpiazzare gli SS 20 o solo cercando di aumentare la produzione dei vecchi, i russi si ridussero alla miseria. Potrà finire così anche con Putin, per quanto egli si stia sforzando da qualche settimana di esorcizzare gli ammonimenti persino pubblici della pur fedelissima -una volta- governatrice della Banca Centrale del Paese: eroica solo a rimanere al suo posto, attendendo di essere eliminata, spero non anche fisicamente.

In questa dissolvenza di Putin nelle immagini degli ultimi gerarchi del defunto comunismo sovietico trovo penosi anche i tanti “però” che continuano a levarsi dalle nostre parti nel sostegno agli ucraini che resistono all’invasione russa. Sono i “però” non solo del professore Alessandro Orsini -distinto da Putin ma solidale, sbertucciato oggi sul Corriere della Sera da Massimo Gramellini, che ha fatto delle sue parole e dei suoi ragionamenti televisivi un linguaggio chiamato “Orsinese”- ma anche, per esempio, dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Quest’ultimo ha parlato appunto in stretto “orsinese” ieri sera nel salotto televisivo di Lilli Gruber, procurandosi dell’”ambiguo” anche dalla conduttrice, non riuscitasi a trattenere dal fatto che l’ospite fosse poco elegantemente solo contro tutti nel tentativo di stare con un piede nella maggioranza e l’altro all’opposizione del governo impegnato ad aiutare anche militarmente gli ucraini.

Per fortuna la maggioranza non dipende più come una volta dai grillini. E c’è una figura un pò sacrale, col suo passato nei campi di sterminio nazisti, la senatrice a vita Liliana Segre, che ha il coraggio di cantare, diciamo così, per gli ucraini sulla prima pagina del giornale italiano più diffuso la “Bella ciao” negata loro dai rappresentanti -ahimè- dell’associazione dei partigiani finanziata dallo Stato.

 

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