skip to Main Content

L’Italia è (ancora) in prima fila per riformare il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ecco come

Onu Riforma Italia

Non solo Italia: anche Canada, Argentina, Turchia, Corea del Sud, Spagna e altri sette Paesi vogliono portare i membri non permanenti da 10 a 21

Se la Nato nel 2019 per Emmanuel Macron era in uno stato di morte cerebrale e oggi, a distanza di quattro anni, a causa della nuova guerra russa in Ucraina sta vivendo una nuova fase di sviluppo e rinvigorimento militare e politico, l’Onu vive una fase ancor più delicata. Perché riunisce 193 Stati, quindi non solo quelli democratici, e nel Consiglio di sicurezza annovera dieci membri permanenti tra cui Cina e Russia, le rivali sistemiche degli Stati Uniti.

       – Leggi anche: Nato, adesso per il dopo Stoltenberg (oltre Stoltenberg) spunta von der Leyen

Nella Nato, così come in Ue, è periodo di rinnovo delle cariche. Jens Stoltenberg rinnoverà un anno ancora il suo mandato scaduto nel 2022 e già prorogato di dodici mesi per l’invasione putiniana del 24 febbraio? Ursula von der Leyen verrà scalzata da Roberta Metsola alla Commissione europea? Sono domande che presto troveranno risposte obbligate, per sbrogliare interrogativi che però sono sul tavolo da tempo e continuano a intrecciarsi con gli eventi del conflitto russo-ucraino e le risposte euroatlantiche.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "L'Italia è in prima linea per la riforma del Consiglio di Sicurezza, leader del gruppo UfC GRUPPO UNITING FOR CONSENSUS (UFC) PAESI SONO LAVORO PER UNA RIFORMA CHE RENDA IL CONSIGLIO DI SICUREZZA RAPPRESENTATIVO, DEMOCRATICO, RESPONSABILE, TRASPARENTE EFFICACE IL MODELLO PROPOSTO DAL GRUPPO UFC: IL NUMERO DEI MEMBRI NON PERMANENTI 10 AFFINCHÉ CONSIGLIO SIA LEREGION MONDO AFRICA IN VIA SVILUPPO INCLUSI DI TUTTE #UNSCFORALL EVITARE CREAZIONE DI NUOVI SEGGI PERMANENTI DI VETO PERCHE CONFERIMENTO PRIVILEGI POCHI PAESI DANNEGGEREBBE NATURA DEL CONSIGLIO SUA LEGITTIMITA -QUESTI CAMBIAMENTI SONO FONDAMENTALI PER RENDERE IL CONSIGLIO PIÙ RESPONSABILE NEI CONFRONTI DI TUTTI MEMBRI DELL'ONU"

Intanto, tornando all’Onu, l’Italia (che al 2016 aveva versato all’Organizzazione 827,586 milioni di dollari) e altri undici Paesi vogliono portare il Consiglio di Sicurezza a ventuno membri dai dieci attuali.

ITALIA LEADER DEGLI UNITING FOR CONSENSUS VUOLE RIFORMARE IL CDS Dal 2005

Il nostro Paese guida l’UfC, il gruppo degli United for Consensus. Di che si tratta? Parliamo di dodici Stati: Italia, Argentina, Turchia, Corea del Sud, Colombia, Malta, Messico, Paesi Bassi, Pakistan, San Marino e Spagna. Riuniti dal 2005 per riformare il Consiglio di Sicurezza ampliando i membri non permanenti, fu l’Ambasciatore Marcello Spatafora a inaugurarlo.

Da lì, fu introdotto il percorso di riforma secondo Roma: incrementare il numero dei membri non permanenti per ciascun gruppo regionale, lasciando la decisione sulle modalità di elezione di tali seggi ai gruppi stessi. Oppure: introdurre un mandato di 3-5 anni senza possibilità di rielezione o un mandato di due anni con possibilità di rielezione per un massimo di due volte consecutive.

L’obiettivo – secondo la Farnesina – è “assicurare una più equa rappresentanza a tutti i 193 Stati Membri; l’importanza di porre rimedio all’attuale sotto-rappresentazione regionale (in particolare dell’Africa e dell’Asia-Pacifico e dell’America Latina); le idee per il miglioramento dei metodi di lavoro del CdS, così da renderlo maggiormente trasparente e inclusivo nei confronti dell’Assemblea Generale, degli altri organi delle Nazioni Unite, degli Stati Membri e delle Organizzazioni Regionali”. Mentre le distanze permangono sulla questione del veto e su nuovi seggi (permanenti o non).

PERCHE’ L’ITALIA NE PARLA ANCORA

Alcuni sviluppi su questo percorso sono emersi già l’anno scorso. Ricordava La voce di New York che nelle fasi precedenti aveva prevalso l’immobilismo e ci si era limitati ad aggiungere “al processo negoziale strati di complessità nel momento in cui si affacciavano nuove implicazioni fino allora rimaste sottotraccia”.

“Negli ultimi tredici anni i negoziati intergovernativi hanno dato vita a documenti che riassumevano le posizioni degli Stati membri e dei vari gruppi negoziali sui cinque temi”, cioè “le categorie di membership; la questione del veto; la rappresentanza regionale; le dimensioni di un Consiglio di Sicurezza allargato e i relativi metodi di lavoro; le relazioni tra il Consiglio e l’Assemblea Generale”. E così “al termine di ogni ciclo negoziale (gennaio/febbraio – maggio), un non paper dei Co-Chairs che presenta, da una parte, gli elementi di convergenza della riforma e, dall’altra, quelli che necessitano di un ulteriore discussione”.

QUALI SVOLTE SONO ALL’ORIZZONTE DOPO IL 24 FEBBRAIO 2022

A oltre un anno dallo scoppio della nuova invasione russa dell’Ucraina, la questione è tornata d’emergenza e d’attualità insieme agli altri topics dei board internazionali. Secondo molti, a partire dal presidente dell’UNGA (l’assemblea generale del Palazzo di vetro) Csaba Kőrösi “un numero crescente di persone chiede ora la sua riforma” e che “si tratta della credibilità e della rilevanza delle Nazioni Unite”.

E l’Italia vuole essere ancora protagonista in seno allo UfC. Il viaggio del ministro degli Esteri Antonio Tajani (vicepremier del Governo Meloni) svoltosi il mese scorso si inserisce in questo percorso. Certo, c’è da fare i conti anche con la Cina. Pechino oltre a essere membro permanente del CdS è anche osservatore del gruppo dei dodici capeggiato da Roma.

Come ricorda l’Ispi, tra i vari tentativi di riforma succedutisi negli anni, “nella sessione plenaria dell’Assemblea Generale di fine 2020 (…) il delegato italiano, parlando a nome del gruppo Uniting for Consensus, ha avanzato una proposta che prevede un Consiglio di 26 seggi, con 9 seggi permanenti a lungo termine distribuiti tra i gruppi regionali e i restanti seggi con mandato biennale rinnovabile”.

GLI OSTACOLI GIURIDICI E POLITICI MA SI LAVORA ALLA SVOLTA

C’è poi da considerare il lato giuridico. “A ogni buon conto la riforma del Consiglio di Sicurezza comporta la modifica della Carta delle Nazioni Unite, ossia la revisione degli articoli 23 e 27, che richiede il combinato disposto di due fattori: l’adozione con un voto di almeno 2/3 dei membri dell’Assemblea Generale (i. e. 129 Paesi) e la ratifica da parte di almeno 2/3 dei membri, compresi tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza”.

Per non parlare degli ostacoli più evidenti, cioè quelli politici, mossi da parte dei big five del consiglio permanente. Ma la storia nel frattempo avanza, a suo ritmo, e l’impressione sempre più evidente è che insieme alla Nato e alle istituzioni europee stiamo arrivando alla resa dei conti anche in seno all’Onu.

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Back To Top