Dopo più di un anno di guerra Israele e Hamas sono a un passo dalla…
Perché su Israele e Hamas l’Ue non riesce a parlare con una voce sola
Alla base delle incertezze e della cacofonia dell’Unione europea sulla guerra tra Israele e Hamas le dichiarazioni e gli attriti tra von der Leyen e Michel
L’Unione europea prova ad avere una voce unica sulla guerra in Medio Oriente e corre ai ripari: un piano per la sicurezza verrà presentato mercoledì mattina dal vice presidente della Commissione Ue Margaritis Schinas e dalla titolare agli Affari Interni, Ylva Johansson. L’obiettivo di Bruxelles è innanzitutto quello del coordinamento (anche comunicativo) tra i 27.
Il ritorno del terrore islamico rischia di alimentare paure, di portare i Paesi membri a misure che possono confliggere con uno dei pilastri dell’Unione, la libertà di movimento. Nelle ore che hanno fatto seguito all’attentato di Bruxelles in mezza Europa è scattata l’allerta.
LA CONTINUA CACOFONIA TRA VON DER LEYEN E MICHEL
Il dossier, inevitabilmente, è finito sul tavolo del Consiglio europeo straordinario convocato martedì sera dal presidente Charles Michel sulla guerra tra Israele e Hamas. La riunione dei 27 è stata pensata innanzitutto per “definire una posizione comune” e “stabilire una linea d’azione chiara e unitaria che rifletta la complessità della situazione in corso”. Tutto questo dopo la cacofonia di voci che ha fatto seguito ai primi giorni di guerra, e con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, finita nel mirino per quello che viene considerato come un eccessivo attivismo.
Anche nel corso della conferenza stampa post vertice, von der Leyen e Michel non sono riusciti a trovare le stesse parole per commentare il bombardamento all’ospedale di Gaza che ha provocato centinaia di morti. “Un attacco contro un’infrastruttura civile non è in linea con il diritto internazionale” ha detto Michel, mentre la presidente della Commissione Ue ha declinato ogni commento in attesa di “conferme”.
EVITARE VIOLAZIONE DEL DIRITTO UMANITARIO
Il presidente del Consiglio europeo ha sottolineato che il conflitto in Israele ha ripercussioni anche per il nostro continente. “In primo luogo, l’Unione è sempre stata e dovrà sempre essere una ferma sostenitrice della pace e del rispetto del diritto internazionale, come nel caso del caso della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina. L’Unione deve lavorare per fornire assistenza umanitaria ed evitare un’escalation regionale del conflitto e qualsiasi violazione del diritto umanitario”.
OBIETTIVO PACE DURATURA E DUE STATI
In secondo luogo, “un forte impegno con gli attori regionali è fondamentale poiché sono i più colpiti dal conflitto e possono svolgere un ruolo efficace”. L’obiettivo dell’UE è “una pace duratura e sostenibile basata su una soluzione a due Stati”.
LE CONSEGUENZE IN TERMINI DI SICUREZZA PER I CITTADINI DELL’UE
Andando oltre le esternazioni alte ma sentite, si passa poi alle questioni più cogenti, quelle che toccano da vicino i popoli europei. “In terzo luogo, il conflitto potrebbe avere gravi conseguenze in termini di sicurezza per le nostre società. Se non stiamo attenti, potrebbe far esacerbare le tensioni tra le comunità e alimentare l’estremismo”. Dunque, c’è preoccupazione per l’ordine pubblico e per possibili reazioni scomposte che potrebbero rischiare di coinvolgere anche chi, con l’estremismo religioso, non ha nulla a che fare. “Infine, esiste un forte rischio di migrazione e di spostamento di un gran numero di persone verso i paesi vicini. Se non viene gestita con attenzione, c’è il rischio di ulteriori ondate migratorie verso l’Europa”.
DAL PPE SOSTEGNO A ISRAELE E RICHIAMO AI PRINCIPI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
Non è la prima volta che il terrorismo islamico prende di mira il quartier generale dell’Unione europea; eppure, nemmeno questo è bastato affinché la voce dell’Ue fosse davvero ferma e univoca nella condanna dell’estremismo. “Non si può pensare che Israele accetti quello che ha fatto Hamas, quindi siamo dalla sua parte. Ma incoraggiamo Israele ad agire nel rispetto dei principi e del diritto internazionale – ha detto Manfred Weber, presidente del Partito popolare europeo (Ppe) -. Tutto questo ha delle conseguenze anche per noi: la guerra in corso è contro i terroristi, non contro i palestinesi. Ecco perché il Ppe sostiene l’aiuto umanitario per la regione”.
PER IL S&D NON CONFONDERE HAMAS CON I PALESTINESI
Sulla stessa lunghezza d’onda anche García Pérez, capogruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo (S&D). “La violenza sta creando una situazione insostenibile e chiediamo che siano liberati gli ostaggi – ha detto Perez -. Nelle guerre ci sono regole, ci sono limiti e non si possono punire due milioni di civili per gli errori commessi da pochi. La legittima difesa non può essere un assegno in bianco per la vendetta“. A Bruxelles, pezzi di establishment, ha reputato troppo sbilanciata nei confronti degli israeliani la condotta tenuta dalla presidente della commissione Ursula von der Leyen. Non a caso la scorsa settimana Michel ha discusso con il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, e con il re Abdullah II di Giordania.
WEBER A BORRELL, RIVEDERE RELAZIONI CON AMICI DI HAMAS
Nelle mani di Hamas ci sono ancora circa 200 civili israeliani rapidi nel raid di sabato 7 ottobre. Ogni tanto i terroristi rapitori lasciano trapelare immagini di persone ferite ma curate, senza libertà di movimento ma la cui vita non viene messa a rischio. Nel pendolo tra un colpo al cerchio e uno alla botte Weber chiede a Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, di “rivedere le nostre relazioni con gli amici di Hamas, come l’Iran e il Qatar” e dichiarare “che qualsiasi amico di Hamas è un nemico dell’Europa”.
IL PESO DELLA QUESTIONE MIGRATORIA E DEL TERRORISMO SULLE PROSSIME ELEZIONI EUROPEE
Lo scenario descritto va a comporsi in un quadro che vede come traguardo di breve periodo le elezioni del Parlamento europeo. L’appuntamento elettorale rischia di essere travolto dalle conseguenze della guerra tra Israele e Palestina. Ancor più se, a un puzzle già complesso, aggiungiamo il fatto che l’attentatore di Bruxelles, ucciso dalle forse speciali, era una persona richiedente asilo, giunto a Lampedusa nel 2011, a cui era stato negato lo status di protezione, ma che non aveva comunque lasciato l’Unione.