Oltreconfine, la rassegna stampa internazionale di Policy Maker
OLTRECONFINE: ISRAELE E LIBANO AL TAVOLO DOPO 32 ANNI
Mercoledì, per la prima volta dal 1993, diplomatici israeliani e libanesi si sono seduti allo stesso tavolo a Naqoura, al confine, sotto l’egida degli Stati Uniti. Lo riporta Axios, secondo cui all’incontro si è parlato soprattutto di piccoli progetti economici comuni per stabilizzare il sud del Libano e ricostruire le zone distrutte dalla guerra. È un passo minuscolo ma storico: l’ultimo incontro diretto e pubblico tra i due Paesi risaliva come già detto a trentadue anni fa. L’amministrazione Trump spinge da mesi per far parlare Israele e Libano, convinta che il cessate il fuoco di un anno fa sia ancora troppo fragile. La tempistica non è casuale: il meeting arriva appena due settimane dopo l’eliminazione, con un raid aereo su Beirut, del comandante militare di Hezbollah Haytham Ali Tabatabai, il colpo più pesante inflitto da Israele al Partito di Dio dall’inizio della tregua. Gerusalemme accusa il governo libanese di fare troppo poco per disarmare Hezbollah e minaccia di riprendere la guerra se il riarmo continua a questi ritmi. Beirut, dal canto suo, protesta per i raid israeliani e chiede il ritiro da cinque avamposti al confine. Secondo fonti americane, l’uccisione del capo militare ha dato a Netanyahu un po’ di ossigeno politico interno e ha allontanato, almeno per qualche settimana, il rischio di una nuova offensiva su larga scala. Dietro le quinte è stata una vera e propria operazione di convincimento: l’ambasciatore Usa a Beirut, Michel Issa, ha persuaso il governo libanese a partecipare nonostante i bombardamenti in corso; Morgan Ortagus, inviata di Trump, ha fatto lo stesso con gli israeliani, ricordando a Netanyahu che l’attuale esecutivo di Beirut è il meno ostile che Israele abbia avuto di fronte da decenni. L’incontro è durato poco ed è stato dedicato quasi esclusivamente alla conoscenza reciproca. Si è parlato soprattutto di cooperazione economica nel sud: piccoli progetti di ricostruzione, niente di eclatante. Ma l’idea americana sul lungo periodo è più ambiziosa: creare una specie di “zona economica Trump” al confine, libera da Hezbollah e armi pesanti. Le parti si rivedranno prima di Capodanno, portando proposte concrete. Tutti continuano a ripetere che l’obiettivo principale resta il disarmo di Hezbollah, ma per ora si parte dal basso.
SUD YEMEN TUTTO NELLE MANI DELL’STC
Le forze sostenute dagli Emirati Arabi Uniti nel Sud dello Yemen hanno preso il controllo dell’intero territorio meridionale del Paese, conquistando anche le province petrolifere di Hadramaut e Marah. Lo riferisce il Guardian, secondo cui per la prima volta dalla fine dello Yemen unito, il Consiglio Transitorio del Sud (STC) domina tutti gli otto governatorati che formavano l’ex Yemen del Sud. È una sconfitta pesante per l’Arabia Saudita: Riad ha ritirato le sue truppe dal palazzo presidenziale e dall’aeroporto di Aden, mentre il presidente riconosciuto dall’ONU, Rashad al-Alimi, ha trovato rifugio nella capitale saudita. Le milizie dell’STC, guidate da Aidarous al-Zubaidi, hanno anche occupato PetroMasila, la principale compagnia petrolifera del paese. Una dichiarazione immediata di indipendenza resta improbabile e rischiosa; più realistico un referendum a medio termine. Tutto dipenderà comunque dalle scelte degli Emirati, vero sponsor dell’STC. Dal 2015 il Sud era retto da un’alleanza forzata tra il partito Islah (saudita) e l’STC (emiratino) all’interno di un consiglio presidenziale. Ora quell’equilibrio è saltato: Zubaidi ha la forza militare, Alimi solo il riconoscimento internazionale. Occidente e Onu continuano a opporsi alla divisione del paese e spingono per un governo federale che includa anche gli Houthi. Nessun governo occidentale ha ancora commentato pubblicamente la nuova situazione. Per l’analista Maysaa Shujaa al-Deen citato dal Guardian è “il più grande punto di svolta dal 2015”. Potrebbe portare a uno scontro diretto tra Emirati e Arabia Saudita e dare all’STC un’autonomia molto ampia. Intanto i sauditi cercano disperatamente di salvare qualcosa in Hadramaut.
INDIA PRENDE IN LEASING UN SOTTOMARINO NUCLEARE RUSSO
L’India sta per mettere a segno un affare da circa 2 miliardi di dollari: prenderà in leasing da Mosca un sottomarino d’attacco a propulsione nucleare, chiudendo una trattativa che andava avanti da quasi dieci anni, sempre inceppata sulla questione prezzo. Lo riferisce Bloomberg, che spiega anche come l’accordo si sia materializzato proprio nei giorni in cui Vladimir Putin arrivava a Nuova Delhi, nella sua prima visita dall’invasione dell’Ucraina. In realtà il contratto era stato firmato già nel marzo 2019, ma tra ritardi e complicazioni la consegna è slittata al 2028. A novembre una delegazione indiana è andata a controllare il battello nel cantiere russo. Il sottomarino sarà più grande e capace dei due Arihant e Arighat che l’India ha già costruito in casa, e soprattutto servirà da “scuola” per equipaggi e tecnici mentre il Paese lavora ai suoi futuri sottomarini d’attacco nucleari completamente autoctoni. Un mezzo nucleare cambia le carte in tavola rispetto ai diesel-elettrici: può restare in immersione per mesi, è molto più silenzioso e quindi quasi impossibile da individuare nell’immenso Indo-Pacifico. Per contratto non potrà essere usato in guerra, resterà dieci anni nella marina indiana con manutenzione russa inclusa (esattamente come il precedente Chakra-III, restituito nel 2021). L’intesa arriva mentre Modi, dopo i dazi al 50% imposti da Trump sulle merci indiane, sta rilanciando i rapporti con Mosca, difendendo a spada tratta l’autonomia strategica di Delhi. I rispettivi ministri della Difesa, Rajnath Singh e Andrei Belousov, hanno già sottolineato la “profonda fiducia” tra i due Paesi, con la Russia pronta a sostenere il programma indiano di produzione militare indipendente. Per la marina di Nuova Delhi è un passo avanti importante: un terzo battello nucleare in servizio, anche se in affitto, accelera l’addestramento e tiene il passo con le ambizioni di grande potenza nell’oceano.

