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Macron balla come Draghi. Sfatiamo il mito che i francesi siano migliori di noi

Draghi

I Graffi di Damato

Abbiamo finito, credo, di invidiare i francesi per il loro sistema elettorale a doppio turno combinato col presidenzialismo. Ora, dopo il secondo turno, appunto, delle elezioni legislative il presidente Emmanuel Macron, ancora fresco di conferma, si trova ad essere un’anatra zoppa, senza maggioranza in Parlamento, dove temo che dovrà cercarsene una volta per volta.

“Francia ingovernabile”, ha titolato La Stampa, che ha una consolidata autorità nelle analisi internazionali, finendo non a caso nel mirino di Putin e del suo ambasciatore a Roma, Razov, che l’ha denunciata praticamente di falso e istigazione al complotto per le cronache sulla guerra in Ucraina, senza tuttavia convincere né i magistrati scelti per quest’avventura ben poco diplomatica, quelli della Capitale, né quelli competenti. Che sono di Torino, la città appunto della Stampa, affrettatisi ad archiviare le carte di Roma risparmiandosi qualche missile di ritorsione, almeno sinora, visto che forse al Cremlino non tutti hanno perduto la testa come Putin e il suo imitatore, concorrente e quant’altro Medvedev.

La Francia, col presidente Macron stretto, a una quarantina di seggi mancanti alla maggioranza, fra la sinistra di Melenchon e una destra passata in un colpo solo da 8 a 89 seggi parlamentari, è ingovernabile forse ancor più dell’Italia. Che pure si permette il lusso proprio in questi giorni di avere un ministro degli Esteri -non dei Trasporti o come diavolo si chiama ora questo dicastero- processato dal proprio partito, il NoVimento 5 Stelle, perché troppo atlantista e praticamente guerrafondaio: un Di Maio che il detrattore Marco Travaglio può chiamare sprezzantemente Di Mario per asservirlo a Mario, appunto, Draghi. Col quale si starebbe in effetti consumando il vero scontro coltivato e voluto nei palazzi romani del potere dal predecessore Giuseppe Conte, mai rassegnatosi all’abbandono di Palazzo Chigi, e gridato con tanto di titolo sulla prima pagina del Fatto Quotidiano. Ormai non si hanno più remore nei fiancheggiamenti giornalistici. Il gioco avviene a carte scoperte. E questo in fondo non è un male. E’ un contributo tanto involontario quanto meritevole alla trasparenza che di solito non si coniuga facilmente con la politica.

Le difficoltà uscite dalle urne francesi accostano ulteriormente, sul piano umano e politico, Macron e Draghi: due personalità che hanno stretto rapporti di cordialità e convergenza politica come se avessero avvertito per primi ciò che li univa e ancor più li avrebbe uniti in futuro. Draghi già governa nei fatti quotidiani -e non solo al plurale del giornale che gli è più ostile- senza una maggioranza vera in Parlamento, per quanto larga essa sia nata più di un anno fa per esigenze di forza maggiore, non potendosi allora ricorrere alle elezioni anticipate per uscire dalla crisi in cui era caduta la legislatura cominciata nel 2018. Il presidente del Consiglio italiano potrebbe diventare un modello per Macron. Che diversamente da lui, però, è all’inizio del mandato politico, non verso la pur lunga fine come quella di Draghi, praticamente condannato a restare a Palazzo Chigi sino alla primavera dell’anno prossimo. Salvo che quel genio del suo vero e principale avversario -Conte, parola del suo estimatore Travaglio- non riesca a darsi la zappa sui piedi sino ad obbligare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ad anticipare il rinnovo di Camere d’altronde più che bollite.

In questo lungo -ripeto- e confuso finale di legislatura in Italia, con gli inconvenienti peraltro di una guerra in Europa e di un’emergenza mondiale sotto tanti aspetti, formulare previsioni, auspici e quant’altro non è solo azzardato. E’ semplicemente inutile, specie col caldo che fa.

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