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Gli occhiali sbagliati per guardare le mosse di Meloni

Premier Italiana A Kiev

Nelle intenzioni della premier italiana doveva essere una missione di ulteriore o definitivo accreditamento internazionale sul versante atlantista ed europeista del suo governo di destra-centro

Forse è inevitabile, essendosi il fenomeno verificato anche nella cosiddetta e lontana prima Repubblica, e proseguito nelle edizioni successive di cui ho personalmente perso il conto, tante  ne sono state avvertite e persino analizzate da esperti veri o presunti della materia, ma è sicuramente rischioso vedere la politica estera con gli occhiali della politica interna. Ed anche viceversa, naturalmente. Ne esce fuori una visione deformata, a discapito della chiarezza e dell’obiettività.

Ne ha appena toccato gli effetti -credo- la giovane presidente del Consiglio Giorgia Meloni di ritorno dalla tanto desiderata missione a Kiev nel primo anniversario della guerra indubitabilmente condotta contro l’Ucraina dalla Russia di Putin nella convinzione, clamorosamente smentita dai fatti, di chiuderla in pochi giorni o settimane come una “operazione speciale”. Così ancora i russi sono obbligati a chiamarla per non finire in galera dandole il nome che le spetta, e si è sinistramente meritato.

– I giornali di oggi, giovedì 23 febbraio

Nelle intenzioni della premier italiana doveva essere una missione di ulteriore o definitivo accreditamento internazionale sul versante atlantista ed europeista del suo governo di destra-centro, o di centrodestra come preferisce ancora chiamarlo Silvio Berlusconi per rivendicare una specie di denominazione controllata e garantita dalla sua partecipazione, pur a ranghi ridotti rispetto alle precedenti edizioni, in una serie cominciata nel 1994.  Doveva essere, ripeto. Ma ha cominciato proprio Berlusconi a comprometterne la credibilità rilanciando una sua ormai vecchia polemica contro “il signor Zelensky”, immeritevole, secondo lui, di corteggiamento, amicizia, solidarietà e quant’altro per avere provocato la guerra più e prima di Putin.

Costretta a casa da un’influenza stagionale che le ha lasciato l’inconveniente di colpi insistenti di tosse, la premier ha dovuto seguire con comprensibile disappunto questa specie di antipasto, immeritato dopo che aveva dato generosamente, per le ambizioni e la vanità dell’interessato, del “nostro migliore ministro degli Esteri” al Cavaliere, a rischio di declassare quello in carica che è Antonio Tajani, vice dello stesso Berlusconi nel partito. Dove da un pò di tempo crescono gli aspiranti a prenderne il posto, potendogli  e dovendogli bastare il ruolo che divide fra la Farnesina e Palazzo Chigi come ministro degli Esteri, appunto, e capo della delegazione forzista al governo con i gradi vice presidente del Consiglio.

TUTTI I GRAFFI DI DAMATO

Poi, rimessasi finalmente dall’influenza e fatti i bagagli per il viaggio, la premier italiana si è vista sorpassare nel traffico internazionale dal presidente americano Joe Biden, presentato in Italia dalle opposizioni come un furbacchione mossosi in tempi e modi tali da offuscare deliberatamente la Meloni, sino a negarle o comunque ad evitare un incontro fra il suo arrivo in Polonia da Kiev e la partenza  della stessa Meloni dalla Polonia all’Ucraina. Una telefonata di Biden non è bastata a risparmiare alla premier italiana sui giornali antipatizzanti di casa una mezza degradazione, utile ai fini della politica interna.

Poi a Kiev nella conferenza stampa comune con Zelenski, dopo la visita alle località più vicine devastate dalla guerra e l’incontro conclusivo della missione, sulla premier è caduta come una tegola sulla testa  la sferzante risposta del presidente ucraino ai giornalisti ancora curiosi, dopo quello che aveva già detto nei giorni precedenti, di conoscere le sue opinioni sui rapporti fra Putin e Berlusconi. Cui l’amico russo ha risparmiato -ha detto Zelensky- le bombe e il sangue riservato agli ucraini. Gli ha risposto da Roma  dell’ex presidente del Consiglio, interrompendo “il silenzio” annunciato dal Giornale, rivendicando il ricordo degli anni adolescenziali in cui capitò alla sua famiglia, nella seconda guerra mondiale, l’esperienza degli sfollati.

Abbiamo assistito, sempre grazie agli occhiali della politica interna con cui in Italia siamo abituati o condannati, come preferite, a vedere la politica estera, allo spettacolo alquanto insolito di giornali ferocemente antiberlusconiani insorti contro la Meloni per non avere difeso “l’alleato” dagli attacchi e dalle derisioni di Zelensky. Che avrebbe umiliato, col suo modo di fare, la stessa ospite corsa a confermargli l’appoggio alla difesa dell’Ucraina  “sino alla fine”.

Da qui a sostenere, come si è gridato dai palchi o dalle curve delle opposizioni, il fallimento, il flop e simili della missione della Meloni a Kiev il passo è stato naturalmente breve, anzi brevissimo. Ma, anche a costo di sembravi quello che non sono, cioè un elettore del partito della premier italiana, e cercando di pulire ben bene le lenti dei miei occhiali, mi riesce francamente difficile vedere la Meloni indebolita dal suo viaggio in Ucraina. E dare ragione a Berlusconi, che glielo aveva praticamente sconsigliato.

Chi esce indebolito, o più indebolito di tutti, da questa vicenda internazionale, anche ai fini della politica interna, mi sembra piuttosto l’ex presidente del Consiglio. Il quale si trova ora, volente o nolente, con le sue posizioni vantate di “uomo di pace” opposto a tutti gli altri uomini di guerra, più allineato neppure al Pd, con tutti i suoi guai interni destinati a non finire con le primarie di domenica prossima, ma a Giuseppe Conte. Non proprio il massimo, direi: né per lui personalmente né per il suo partito. E neppure per il suo, e nostro, ministro degli Esteri.

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