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La crisi demografica è mondiale e ha tante facce

Crisi Demografica Mondo Popolazione

Le ultime rilevazioni di Earth4All non promettono bene e riaccendono i fari sulla crisi demografica da qui a fine secolo

Oggi siamo più di otto miliardi di persone nel mondo, domani chissà. Tra crisi economica, nuovi e vecchi conflitti, relazioni intestatali sempre più complesse, spesso fatichiamo a mettere al centro dei nostri (intesi come individui ma soprattutto come governi) pensieri il problema sociale massimo: quello che riguarda le nostre stesse esigenze, la nostra presenza su questo pianeta.

I NUMERI

Partendo dai numeri, come rileva Quartz, dopo le rilevazioni dello scorso novembre la prospettiva data dagli esperti era di arrivare a dieci miliardi al 2080 o giù di lì.

Altre constatazioni demografiche, invece, pubblicate lunedì dal collettivo Earth4All prevedono il raggiungimento di una popolazione globale di 8,5mld entro diciassette anni. Con un ribasso a dir poco catastrofico a 6.5mld entro fine secolo. Un up&down che fa rabbrividire al sol pensiero.

Ovviamente molto, tutto, dipende da come ci “comporteremo” da qui agli anni a venire. Secondo lo studio, nel caso in cui “lo sviluppo economico continua al ritmo attuale, il rapporto rileva ancora che la crescita della popolazione potrebbe raggiungere il picco di 8,6 miliardi nel 2050 e scendere al di sotto degli 8 miliardi entro il 2100”. Ma numeri ancora diversi sono quelli citati dalle Nazioni Unite: per le quali saremo “8,5 miliardi nel 2030, 9,7 miliardi entro il 2050” e raggiungeremo “un picco di circa 10,4 miliardi di persone durante gli anni 2080, dove si stabilirà fino al 2100”.

COME AFFRONTARE LA CRISI DEMOGRAFICA

Non sappiamo, nessuno forse sa, come interpretare questi numeri e cosa sperare in termini demografici. Perché il macro contenitore si mischiano tutte le componenti della società e dell’economia. Dalla crisi climatico-ambientale ai rapporti economici tra Paesi e tra classi sociali. Per cui se da un lato “più siamo e peggio è” per il deterioramento o lo sfruttamento del pianeta, dall’altro far progredire le nostre società significa anche protrarle nel tempo, nelle generazioni.

Come scrive ancora il portale economico Quartz, “l’istruzione e il progresso economico hanno ridotto in modo affidabile i tassi di fertilità in passato, sostiene il rapporto. Man mano che le condizioni economiche migliorano per più donne, specialmente nei paesi in via di sviluppo con i più alti tassi di fertilità, avranno meno figli e porteranno a un declino più rapido della popolazione globale”.

COME INTERPRETARE LA CRISI DEMOGRAFICA

Secondo Riccardo Pennisi, collaboratore di Aspenia, “l’idea della pianificazione delle nascite si è spesso accoppiata con la politica nazionalista di dittature tese a gonfiare l’orgoglio patriottico tramite paragoni quantitativi o qualitativi”. Spesso, in termini politici è la destra a puntare su programmi di rinvigorimento demografico, basandosi molto sui concetti di patria e nazione. Anche se, per dirla alla Alessandro Campi – recensito qui con il suo ultimo libro da Maria Scopece – spesso le idee a riguardo sono state tante e rimangono tuttora confuse.

Ma è un discorso che attiene anche alla Cina comunista, prima in termini restrittivi con la politica del figlio unico e da qualche anno con un capovolgimento di fronte che fatica a dare i suoi risultati.

Citando diversi esempi del passato, per Pennisi “anche per colpa di questa vergognosa e imbarazzante casistica i Paesi dell’Occidente liberal-democratico sono stati sempre restii ad occuparsi direttamente di demografia. Anche perché, nelle prime decadi del Dopoguerra, sembrava si trattasse di un non-problema”.  Se ricordiamo bene, “fu soltanto dagli anni 2000, e soprattutto dalla crisi economica del 2008, che il dato del declino demografico divenne impossibile da ignorare, e anzi molto problematico, per un numero sempre crescente di Paesi europei, anglosassoni e dell’Asia più “occidentalizzata”.  Il Giappone è un caso emblematico, dice Pennisi.

IL PROBLEMA NON APPARTIENE SOLO ALL’OCCIDENTE

Ma in tutto il mondo, non solo nell’insieme dei paesi lib-dem, c’è un problema demografico. Che non si riscontra, invece, nel continente africano. Sulla sponda nord, ad esempio, come ricorda l’analista “Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto hanno visto la propria popolazione all’incirca raddoppiare nel giro degli ultimi trentacinque anni – per inciso un processo che ha portato, proprio come nell’Europa del dopoguerra, a cambiamenti culturali profondi che hanno investito strutture politiche e religiose storicamente quasi immobili, prova ne siano le Primavere arabe esplose nel 2011 ma anche l’inesorabile laicizzazione della gioventù di questi Paesi. Hanno portato però anche problemi sociali molto gravi di disoccupazione e urbanizzazione incontrollata”.

E c’è il caso nigeriano. Un popolo di oltre 200 milioni di persone (213,4mln al 2021) ma in declino economico. Il gigante biancoverde è andato al voto il mese scorso, quando la speranza di tanti – specie i più giovani – di veder vincere il laburista Peter Obi è stata frenata dalla vittoria di Bola Tinubu, del partito già al governo. Ma la Nigeria è appunto economicamente sempre più fragile, malgrado la sua potenza demografica. Come analizzava Nigrizia alla vigilia dell’appuntamento alle urne, “secondo l’Ufficio di statistica nazionale, 133 milioni di persone, pari al 63% della popolazione, soffrono di povertà”. Come possiamo orientarci in mezzo a tanta diversità di casi? La certezza della crisi demografica mondiale rimane, intanto, anche se con molte facce a cui guardare.

 

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