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Musk premia Giorgia Meloni, ecco cosa hanno detto (tra Reagan, Michael Jackson e Prezzolini)
Il patron di X e Tesla ha consegnato alla premier italiana il Global Citizen Award 2024. Ecco l’intervento integrale di Giorgia Meloni
Tanti scambi di sorrisi, complimenti reciproci, citazioni e con gli sguardi rivolti alle sfide del presente e del futuro, a iniziare dall’Intelligenza artificiale. L’intesa tra Elon Musk e Giorgia Meloni ha avuto conferma nel corso del ‘Global Citizen Award 2024’ dell’Atlantic Council a New York, consegnato durante la cerimonia dal patron di X e Tesla alla premier italiana.
MUSK PREMIA MELONI, ‘HA FATTO UN LAVORO INCREDIBILE’
“E’ un onore consegnare questo premio a una persona addirittura più bella dentro che fuori – ha detto Musk consegnando il premio a Meloni -: ha fatto un lavoro incredibile come premier, con una crescita e un’occupazione record; è una persona onesta, vera e autentica”.
Per la premier italiana Musk è un “genio prezioso” e rivolgendosi a lui ha sottolineato come “mentre sviluppiamo l’intelligenza artificiale, cerchiamo di governarne i rischi perché non intendiamo barattare la nostra libertà in cambio di un maggiore comfort. Sappiamo come leggere questi fenomeni perché la nostra civiltà ci ha dato gli strumenti”. Per poi ribadire che “difenderemo i nostri valori” democratici contro i regimi autoritari, aggiungendo che “nessuno Stato può governare da solo le crisi del nostro tempo e per questo l’Italia è convinta sostenitrice del multilateralismo e della sua istituzione più rappresentativa che è l’Onu”.
L’INTERVENTO DELLA PREMIER ALL’ATLANTIC COUNCIL
Ecco la traduzione integrale dell’intervento in inglese della premier Meloni nel corso del ‘Global Citizen Award 2024’ (fonte e foto sito Presidenza del Consiglio):
Buonasera a tutti, e grazie per avermi ospitato. La mia più profonda gratitudine va al Presidente John Rogers, al Presidente Frederick Kempe e a tutto l’Atlantic Council per questo illustre riconoscimento di cui sono molto orgogliosa. E ringrazio Elon per le belle parole che ha avuto per me e per il suo prezioso genio per l’epoca in cui viviamo. Ho riflettuto molto su come presentare il discorso di questa sera.
Inizialmente ho pensato di sottolineare l’orgoglio che provo tutt’ora per essere la prima donna a ricoprire la carica di Primo Ministro in una Nazione straordinaria come l’Italia.
Oppure del lavoro che il Governo italiano sta facendo per riformare il Paese e renderlo nuovamente protagonista nello scacchiere geopolitico. Avrei potuto parlare dell’inscindibile legame che unisce Italia e Stati Uniti, indipendentemente dalle convinzioni politiche dei rispettivi governi; un legame qui testimoniato dai molti amici di origine italiana, esponenti di una Comunità che da generazioni contribuisce a rendere più forte l’America.
O avrei potuto parlare di politica estera, in un tempo dominato dal caos nel quale l’Italia, con fermezza, è schierata accanto a chi difende la propria libertà e la propria sovranità non solo perché è giusto farlo, ma anche perché è nell’interesse dell’Italia e dell’Occidente impedire un futuro nel quale prevalga la legge del più forte.
Come politico, hai fondamentalmente due opzioni: essere un leader o un follower, indicare una rotta o meno, agire per il bene del proprio popolo o agire solo guidati dai sondaggi. La mia ambizione è quella di guidare, non di seguire.
Questa sera, in ogni caso, voglio offrirvi una prospettiva diversa. Vorrei iniziare citando un editoriale recentemente pubblicato nell’edizione europea di Politico. L’analisi in questione si è concentrata su “Meloni’s Western nationalism”. L’autore, Dr. Constantini, sostiene che il mio credo politico sia “in quello che potrebbe essere definito un ‘nazionalismo occidentale’”. Un pensiero che, nel suo cuore, incarna la sopravvivenza e rinascimento della civiltà occidentale che, secondo Dr. Constantini, è “nuovo sulla scena europea”.
Non so se nazionalismo sia la parola corretta, perché spesso richiama dottrine di aggressione o di autoritarismo. So, però, che non dobbiamo vergognarci di usare e difendere parole e concetti come Nazione e Patriottismo, perché significano più di un luogo fisico; significano uno stato d’animo a cui si appartiene condividendo cultura, tradizioni e valori.
Quando vediamo la nostra bandiera, se ci sentiamo orgogliosi, significa che sentiamo l’orgoglio di far parte di una comunità e che siamo pronti a fare la nostra parte per migliorarne le sorti.
Per me, l’Occidente è più di un luogo fisico. Con la parola occidente noi non definiamo semplicemente i Paesi che hanno una specifica ubicazione geografica, ma una civiltà costruita nei secoli con il genio e i sacrifici di moltissimi.
L’Occidente è un sistema di valori in cui la persona è centrale, gli uomini e le donne sono uguali e liberi, e quindi i sistemi sono democratici, la vita è sacra, lo stato è laico e basato sullo stato di diritto. Vi chiedo e mi chiedo: sono valori dei quali dovremmo vergognarci? Sono valori che ci allontanano dagli altri o che ci avvicinano agli altri? Come l’Occidente, penso che abbiamo due rischi da contrastare. Il primo è quello che uno dei massimi filosofi europei contemporanei, Roger Scruton, definiva oicofobia, dal greco oikos, casa, e fobia, paura. (Kyriakos, questo è il mio personale tributo al tuo premio di stasera). Oicofobia significa l’avversione verso la propria casa. Un disprezzo montante, che ci porta a voler brutalmente cancellare i simboli della nostra civiltà, negli Stati Uniti come in Europa.
Il secondo rischio è il paradosso per cui, se da un lato l’Occidente si guarda dall’alto in basso, dall’altro pretende spesso di essere superiore agli altri. Il risultato? Il risultato è che l’Occidente rischia di diventare un interlocutore meno credibile. Il cosiddetto Sud Globale chiede maggiore influenza. Nazioni non più soltanto emergenti ma ormai largamente affermate collaborano autonomamente tra loro. Le autocrazie guadagnano terreno sulle democrazie, e noi rischiamo di sembrare sempre più una fortezza chiusa e autoreferenziale.
In Italia, per invertire questa rotta, abbiamo deciso di lanciare il Piano Mattei per l’Africa, per esempio, un modello di cooperazione su base paritaria per costruire un nuovo partenariato a lungo termine con i Paesi africani. Perché, sì, le crisi si moltiplicano nel mondo, ma ogni crisi nasconde anche un’opportunità, in quanto richiede di mettersi in discussione e di agire.
Dobbiamo soprattutto recuperare la consapevolezza di quello che siamo. Come popoli occidentali, abbiamo il dovere di mantenere questa promessa e di cercare la risposta ai problemi del futuro avendo fiducia nei nostri valori: una sintesi nata dall’incontro tra la filosofia greca, il diritto romano e l’umanesimo cristiano. Insomma, come diceva il mio professore di inglese, Michael Jackson, “I’m starting with the man in the mirror, I’m asking him to change his ways” (conosciamo la canzone). Dobbiamo iniziare da noi stessi, conoscere chi siamo veramente e rispettarlo, in modo da poter comprendere e rispettare anche gli altri.
Esiste una narrativa a cui i regimi autoritari tengono molto. Si tratta dell’idea dell’inevitabile declino dell’Occidente, dell’idea che le democrazie non riescano a dare risultati. Un esercito di troll e bot stranieri e maligni è impegnato a manipolare la realtà e a sfruttare le nostre contraddizioni. Ma ai fan dell’autoritarismo, lasciatemi dire molto chiaramente che difenderemo i nostri valori. Lo faremo. Il Presidente Reagan una volta disse: “Soprattutto, dobbiamo renderci conto che nessun arsenale, o nessuna arma nell’arsenale del mondo, è così formidabile quanto la volontà e il coraggio morale degli uomini e delle donne liberi. È un’arma che i nostri avversari nel mondo di oggi non hanno”.
Non potrei essere più d’accordo. La nostra libertà e i nostri valori, e l’orgoglio che proviamo per essi, sono le armi che i nostri avversari temono di più. Non possiamo quindi rinunciare alla forza della nostra identità, perché sarebbe il miglior regalo che possiamo fare ai regimi autoritari. Quindi, in fin dei conti, il patriottismo è la migliore risposta al declinismo.
Difendere le nostre radici profonde è la precondizione per raccogliere frutti maturi. Imparare dai nostri errori del passato è la precondizione per essere migliori nel futuro.
Vorrei citare anche Giuseppe Prezzolini, forse il più grande intellettuale conservatore nell’Italia del Novecento: diceva che “chi sa conservare non ha paura del futuro, perché ha imparato le lezioni del passato”.
Noi sappiamo come affrontare le impossibili sfide che quest’epoca ci mette di fronte solo quando impariamo dalle lezioni del passato. Difendiamo l’Ucraina perché abbiamo conosciuto il caos di un mondo nel quale prevale la legge del più forte. Combattiamo i trafficanti di esseri umani perché ricordiamo che secoli fa abbiamo combattuto per abolire la schiavitù. Difendiamo la natura e l’umanità, perché sappiamo che senza l’opera responsabile dell’uomo non è possibile costruire un futuro più sostenibile.
Tentiamo, mentre sviluppiamo l’intelligenza artificiale, di governarne i rischi perché abbiamo combattuto per essere liberi e non intendiamo barattare la nostra libertà in cambio di maggiore comodità. Noi sappiamo leggere questi fenomeni perché la nostra civiltà ci ha regalato gli strumenti per farlo.
Il tempo nel quale viviamo ci impone di scegliere cosa vogliamo essere e quale strada vogliamo percorrere. Possiamo continuare ad alimentare l’idea del declino dell’Occidente, arrendendoci all’idea che la nostra civiltà non abbia più nulla da dire, né rotte da tracciare. Oppure possiamo ricordarci chi siamo, imparare anche dai nostri errori, aggiungere il nostro pezzo di racconto a questo straordinario percorso, e governare quello che accade intorno a noi, per lasciare ai nostri figli un mondo migliore. Il che è esattamente la mia scelta.
E mi piace pensare che il motivo per cui mi avete scelto per questo illustre premio è che condividete questa scelta.
Vi ringrazio.