Pietro Parolin dato per favoritissimo alla vigilia, alla fine ha dovuto cedere il passo al cardinale Prevost. Perché? Ecco i possibili retroscena
Da eminenza grigia a pontefice, il passo sembrava breve. Ma lo Spirito Santo, o il destino, hanno da sempre altri programmi per Pietro Parolin, il diplomatico di razza abituato a muoversi nella penombra del sipario vaticano.
SULLA LOGGIA DELLE BENEDIZIONI, MA NON DA PROTAGONISTA
Così sulla Loggia delle Benedizioni Parolin c’era, ma non nel ruolo del protagonista acclamato dalla folla. Una presenza dovuta, in virtù del suo status, lui che il Conclave lo aveva presieduto, per poi raccogliere, poco prima, il definitivo sì di monsignor Prevost – un duplice compito che spiegherebbe peraltro gli “auguri doppi” ricevuti dal cardinale decano Re, che tanti avevano letto come una chiara investitura del favorito della vigilia.
Come suggerisce Virginia Piccolillo sul Corriere della Sera, Leone XIV lo avrebbe voluto al suo fianco anche per dare un segnale di armonia, in un ideale passaggio di testimone tra collaboratori strettissimi di Bergoglio, come a garantire che sullo slancio della Chiesa verso il mondo immaginato da Francesco e tradotto in diplomazia da Parolin non ci sarà dietrofront. E, forse, un segno di gratitudine verso il cardinale che col suo passo indietro ha permesso un’elezione rapida e condivisa.
Restano però diversi interrogativi che conducono tutti alla stessa domanda: perché Parolin non ce l’ha fatta?
PAROLIN, IL FAVORITISSIMO
Uno dei proverbi più citati in queste ultime settimane recita che “chi entra Papa in conclave ne esce cardinale”. Parolin ci entrava però da ex Segretario di Stato, da fedelissimo di Bergoglio, anche se più moderato, e quindi più digeribile per l’ala conservatrice. Fine conoscitore del mondo ma anche della Curia romana, aveva un vantaggio non da poco dalla sua, e cioè quello di essere noto praticamente a tutti i cardinali elettori nel conclave più internazionale della storia.
Insomma, i pronostici erano tutti per Parolin. A dire il vero, El País qualche giorno fa ci ammoniva su un possibile abbaglio dei media italiani. Distorsione prospettica, dunque? Probabilmente una risposta certa non l’avremo mai, ma alcune indicazioni potrebbero venire dalle future nomine del nuovo Papa. Per il momento tutto congelato, con Parolin che torna al suo posto.
UNA CANDIDATURA CHE NON DECOLLA
Qualsiasi congettura si scontra con la segretezza sul conteggio dei voti. Secondo gli esperti di conclave, i primi scrutinii sarebbero serviti a vagliare la consistenza della candidatura di Parolin, verso cui propendevano molti cardinali. A un certo punto però si sarebbe impaludata, con le ali più conservatrici e più progressiste che non si smuovevano dall’iniziale freddezza.
Scrive Angelo Mellone sul Corriere: “a mezzogiorno di ieri si diceva che Parolin avesse 49 voti e Prevost 38: numeri da prendere con le molle perché anche se fossero quasi veri, voleva dire che lì due candidati insistevano su due terzi dei voti, mentre un terzo secco di porporati preferiva altri”.
Addirittura c’è chi parla di un documento riservato, redatto in latino e circolato in Conclave , in cui si enucleavano tutte le ambiguità di Parolin che avrebbe finito per “bruciare” il cardinale di Schiavon – tesi, questa, tutta da verificare.
TROPPI ITALIANI?
Sulla sconfitta di Parolin bisogna inoltre valutare il peso di una delegazione italiana composita, in cui i profili papabili erano almeno tre: Parolin, per l’appunto, Zuppi e Pizzaballa, senza contare il cardinale Giuseppe Betori, più sullo sfondo.
Come notano sulla Stampa Domenico Agasso e Giacomo Galeazzi, “il fatto di essere divisi ha inevitabilmente depotenziato i cardinali italiani, mentre Prevost durante le congregazioni generali aveva ben figurato raccogliendo così i voti degli elettori delle Americhe, della Curia e anche dei porporati asiatici che si sono orientati su di lui invece che su Luis Tagle”.
Voti di Tagle che secondo molti dovevano confluire su Parolin e e invece hanno preso tutt’altra strada.
PERCHÉ PAROLIN NON È STATO ELETTO PAPA
Ma perché i voti non convergevano invece su di lui? Col senno di poi facile a dirsi. Se è vero, com’è evidente, che si tratta di una vittoria a stelle e strisce, occorre notare che i più critici verso l’accordo sulle nomine episcopali con la Cina, mediato da Parolin, sono proprio i cardinali americani.
In quest’ottica, il lavoro Timothy Dolan, secondo molti bruciato dall’endorsement di Donald Trump, sarebbe stato quello del grande tessitore che avrebbe compattato il gruppo dei cardinali Usa e dirottato i suoi su Prevost. In seconda battuta si sarebbero aggiunti anche i latinoamericani, quindi gli africani francofoni, convinti dalla sua discendenza francese. Anche l’affaire Becciu potrebbe aver avuto il suo peso sulla mancata elezione di Parolin, mentre l’appoggio dei bergogliani non era poi così scontato.
Stando a quanto trapelato fin qui, a un certo punto il cardinale di Schiavon, forse neanche troppo convinto dell’eventuale investitura, avrebbe scelto di fare un passo indietro, anche per favorire una scelta veloce e un messaggio di compattezza, spianando così la strada a un altro strettissimo collaboratore di Bergoglio.