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Più vincerà Macron e meno avrà da festeggiare Putin?

Macron Putin

I Graffi di Damato

Quel Putin nel fungo atomico che Emilio Giannelli, con la vignetta di prima pagina sul Corriere della Sera, ha collocato sopra il ballottaggio del 24 aprile cui sono approdati nella corsa all’Eliseo Emmanuel Macron e Marine Le Pen, in ordine elettorale, dà bene l’idea della situazione. Decisamente meglio -mi scusi il professore Alessandro Campi- del lungo editoriale del Messaggero su “quel voto francese così legato all’Ucraina”.

Più vincerà Macron e meno avrà da festeggiare Putin, che pure ha avuto col presidente uscente della Repubblica di Francia, e presidente di turno dell’Unione Europea, il maggior numero di conversazioni telefoniche nel mese e mezzo trascorso dall’apertura della sua guerra di aggressione all’Ucraina, senza mai accoglierne la richiesta di una tregua. Che ieri gli è stata rinnovata dal sagrato della Basilica di San Pietro, a Roma, da un Pontefice anche fisicamente provato da questa guerra che ha già prodotto troppo sangue.

Figuriamoci se Putin si lascerà influenzare dall’appello del Papa, neutralizzato peraltro nella stessa giornata sul piano religioso dal Patriarca di Mosca, che fa incredibilmente e ignobilmente il tifo per la guerra di Putin. Il quale col fuoco -pensate un pò- dovrebbe spegnere quella fornace, quell’inferno di infedeli che sarebbe l’Ucraina. Ah, poi ce la prendiamo solo con gli islamici, o gli islamisti, quando abusano del loro Dio per fare stragi nel mondo.

Tanto meno Putin si lascerà trattenere oggi -nell’offensiva pasquale nel Donbass ordinata ad un generale giù distintosi per eccidi in Siria- dal viaggio di Mario Draghi e Luigi Di Maio in Algeria per negoziare forniture energetiche che ci facciano dipendere meno dal gas russo. E meno male che almeno su questo Giuseppe Conte, ospite di Massimo Giletti nella sua “arena”, non ha avuto nulla da ridire.

Ormai il capo del Cremlino, proprio perché ridottosi ad aspirare solo al Donbass, dopo avere puntato su tutta l’Ucraina, non si fermerà sino all’ultima fossa o l’ultimo crematorio mobile che gli servirà per nascondere le sue vittime, anche di casa, cioè i soldati russi mandati a morire in questa cosiddetta “operazione speciale”: speciale come ormai il delirio di onnipotenza che lo ha invaso e gli ha fatto in qualche modo superare anche le nefandezze dei predecessori sovietici. Che almeno potevano illudere i loro sudditi di voler esportare una rivoluzione pur già tradita in patria da chi l’aveva bene o male realizzata.

Che cosa ha invece da esportare Putin se non la sua follia amletica e -se li ha ancora- quei pettorali che una volta esibiva agli ospiti. Uno dei quali -il solito, imperdibile Silvio Berlusconi, ora decisosi a dirsene deluso e amareggiato- gli chiese se poteva prestarglieli. Per farne poi cosa, allora? Stendere al tappeto, più di quanto non avesse già fatto da solo l’interessato, il guastatore di turno del centrodestra? Che era Gianfranco Fini, inconsapevole seminatore di un’altra destra ora capeggiata con più fortuna, e anche più giudizio, dalla giovane Giorgia Meloni. Che darà filo da torcere anche lei al Cavaliere appena ridisceso in campo a pochi passi dalla residenza dell’ambasciatore americano, ma anche dello Zoo di Roma. Nulla ormai potrà più tornare come prima, neppure per Putin naturalmente.

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