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Quel tesoro sotto l’Afghanistan che fa gola a Russia e Cina
La transizione energetica richiede molte materie prime e già nel 2010 l’Afghanistan veniva definito da un rapporto interno del Pentagono “l’Arabia Saudita del litio”. Ora è tutto nelle mani del regime talebano (e di chi ci tratta)
Sono trascorsi cinque giorni da quando l’Afghanistan è caduto di nuovo nelle mani dei Talebani che adesso si trovano a gestire una delle maggiori riserve al mondo di materie prime. Litio, ferro, rame, cobalto, oro: nel 2010, un rapporto interno del Pentagono, redatto da militari e geologi e portato alla luce dal New York Times definiva l’Afghanistan “l’Arabia Saudita del litio”.
QUANTO VALE IL TESORO AFGHANO
Un rapporto congiunto ONU-UE del 2013 ha stimato che il potenziale di tutte le risorse sotterranee dell’Afghanistan è di mille miliardi di dollari. Passando a dati più recenti, secondo quanto riportato dal Sole24Ore, gli Stati Uniti nel 2017 riferivano che nel Paese erano presenti risorse minerarie per oltre 3mila miliardi di dollari e si ritiene che oggi la cifra sia quasi certamente più elevata.
Passando a notizie ancora più recenti, nell’ultimo rapporto annuale sulle risorse minerarie del Paese pubblicato a gennaio 2021 dall’US Geological Survey viene confermato ancora una volta che “l’Afghanistan ha depositi di bauxite, rame, ferro, litio e terre rare” – oltre alle già note riserve di pietre preziose.
IL LITIO E LA TRANSIZIONE ENERGETICA
Non dimentichiamo che il litio, ma anche altre terre rare, sono essenziali sia per la riduzione di emissioni di gas serra che per la transizione energetica, basti pensare alle batterie, agli impianti fotovoltaici ed eolici. Come ha reso noto l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), si prevede che la domanda globale di litio aumenterà di 40 volte entro il 2040.
L’Afghanistan “è seduto su un’enorme riserva di litio, finora non sfruttata”, scrive Euronews riportando le parole di Guillaume Pitron, autore del libro La guerre des métaux rares (La guerra dei metalli rari), pubblicato nel 2018.
CHI VUOLE METTERCI LE MANI
La Cina, che secondo i dati dell’AIE già produce il 40% del rame mondiale, quasi il 60% del litio e più dell’80% delle terre rare (ed è anche il più grande produttore mondiale di veicoli elettrici), secondo diversi analisti, è il Paese che può guadagnare di più nella battaglia per le risorse dell’Afghanistan.
Pitron afferma inoltre che la Cina aveva “sostenuto un certo numero di fazioni talebane per dare loro accesso ad alcuni depositi particolarmente promettenti” – fin da prima del ritorno dei Talebani. Anche il Sole24Ore scrive che il Dragone ha già in mano importanti licenze di estrazione che a causa dell’instabilità del Paese non ha ancora potuto sfruttare.
La Cina, inoltre, vede anche il ritiro delle forze americane come un’opportunità per rafforzare il suo grande progetto di infrastrutture: la Nuova via della seta, a cui l’Afghanistan ha aderito nel 2016.
Alla Cina si aggiunge anche la Russia che sta comunque lasciando la porta aperta al dialogo con i Talebani.
NIENTE È COSÌ CERTO
L’Afghanistan non è però una terra facile, e per quanto “i cinesi non subordinino i loro contratti commerciali a principi democratici”, come dice Pitron, problemi quali instabilità politica, corruzione, insicurezza e la mancanza di infrastrutture di trasporto e di energia elettrica sono reali e anche Pechino dovrà farci i conti.