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Svizzera e Austria seguono Berlino e la Nato su missili e difesa aerea

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Con questo passo, Berna e Vienna raggiungono altri 17 Paesi europei, tra cui diversi membri della Nato

Svizzera ed Austria hanno siglato, lo scorso venerdì 7 Luglio, una dichiarazione d’intenti con la Germania per partecipare all’iniziativa nel quadro della difesa terra-aria continentale “European Sky Shields Initiative”(ESSI).

La dichiarazione è stata firmata a Berna dalla responsabile del Dipartimento della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS) rossocrociato Viola Amherd (Briga-Glis, 7 giugno 1962), nonché dai Ministri della Difesa tedesco Boris Pistorius (Osnabrück, 14 marzo 1960) ed austriaco Klaudia Tanner (Scheibbs, 2 maggio 1970).

I tre Paesi hanno inoltre firmato un accordo volto a promuovere la cooperazione sul versante della ricerca nel settore degli armamenti.

COSA PREVEDE L’INTESA VIENNA-BERNA-BERLINO

«European Sky Shields Initiative» (ESSI), è stata lanciata da Berlino nell’agosto 2022, e tende alla creazione di uno scudo aereo che difenderà i paesi Nato dell’area europea: è questo il piano annunciato dai ministri della Difesa di 14 Paesi della NATO che, assieme alla Finlandia, si sono riuniti a Bruxelles.

L’iniziativa punta a creare un sistema europeo di difesa aerea e missilistica attraverso l’acquisizione comune di apparecchiature di difesa aerea e missili da parte delle nazioni europee. Rafforzerà la difesa aerea e missilistica integrata della Nato.

L’OBIETTIVO DELL’ACCORDO CHE RAFFORZA LA NATO

ESSI mira a un migliore coordinamento dei progetti d’acquisto di difesa aerea e, se del caso, a un loro raggruppamento per sfruttare le economie di scala e l’interoperabilità: in tal modo sarà possibile per i partecipanti cooperare negli ambiti della formazione, della manutenzione e della logistica.

ESSi si articola si tre livelli di difesa dei cieli basati sui sistemi Iris-T (tedesco), Patriot (statunitense) e in prospettiva Arrow 3 (israeliano).

L’intento del raggruppamento tra Stati è quello di colmare le lacune della protezione attuale: in particolare, sono state ravvisate carenze nella difesa contro i razzi balistici che raggiungono grandi altezze nelle loro traiettorie, così come nella difesa da droni e missili da crociera.

Ciascuno Stato definisce dove e in che misura partecipare, per cui – al fine di escludere ad esempio il coinvolgimento in conflitti militari internazionali, la Svizzera e l’Austria (Paesi neutrali) hanno definito in una dichiarazione aggiuntiva le proprie riserve di diritto in materia di neutralità.

BERNA E VIENNA SEGUONO LA NATO E L’UE

Con questo passo, Berna e Vienna raggiungono altri 17 Paesi europei, tra cui diversi membri della Nato.

La lista, oltre alla Germania, comprende Regno Unito, Slovacchia, Lettonia, Ungheria, Bulgaria, Belgio, Repubblica Ceca, Finlandia, Lituania, Paesi Bassi, Romania, Slovenia, Estonia e Norvegia. A febbraio 2023 hanno aderito al progetto pure Danimarca e Svezia.

A marzo, durante i colloqui con il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg (Oslo, 16 marzo 1959 – in carica dal 1° Ottobre 2014 ed in questi giorni prorogato per un anno) a Bruxelles, Viola Amherd aveva già auspicato un rafforzamento della collaborazione tra la Svizzera e l’Alleanza atlantica, in quanto vorrebbe che la Svizzera partecipasse maggiormente alle esercitazioni della NATO, sviluppasse l’interoperabilità tra l’esercito e l’Alleanza, rafforzasse la sua partecipazione ai centri di competenza certificati dalla NATO e collaborasse più strettamente nei settori dell’informatica e dell’innovazione.

CHI CONTESTA QUESTA MOSSA

Il Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE) ha denunciato il riavvicinamento alla NATO, e si è detto particolarmente preoccupato per lo scambio di dati sensibili che scaturirà dalla partecipazione della Svizzera all’iniziativa.

Il gruppo si interroga inoltre su chi avrà accesso a tali dati, e come la Confederazione vorrà garantire la propria indipendenza nel processo decisionale.

L’Austria non è un membro della NATO, ma ha invocato la neutralità dell’Ucraina per ottenere delle deroghe sulle garanzie di sicurezza, scatenando comunque le accuse dell’estrema destra di violare la neutralità militare del Paese.

Lo “Scudo del cielo europeo” non è un’iniziativa della NATO o un’adesione a un’alleanza militare, ma semplicemente “la cooperazione di un certo numero di Stati”, ha dichiarato domenica il ministro degli Esteri austriaco Alexander Schallenberg (Berna, 20 giugno 1969). “Mettere in comune e condividere” le capacità militari significa attenersi alla neutralità, ha aggiunto.

Dal canto suo, il cancelliere austriaco Karl Nehammer (Vienna, 18 ottobre 1972) ha salutato l’intenzione del suo paese ad aderire al progetto tedesco dichiarando: “Lo Sky Shield è uno scudo protettivo a cui ora partecipano anche l’Austria e la Svizzera, al fine di attrezzarci per far fronte alle mutate situazioni di minaccia”, ha dichiarato Nehammer all’agenzia di stampa APA.

“Si tratta di una pietra miliare a livello di politica di sicurezza”, ha proseguito il cancelliere.”Stiamo proteggendo il nostro spazio aereo nella rete continentale poiché nessuno Stato in Europa sarebbe in grado di gestirlo da solo in questa forma”.

FRANCIA E GERMANIA SONO DISTANTI SU NATO E UE

Francia e Germania, visioni diverse su come difendere i cieli europei dalla minaccia russa. Come agevolmente si ricava dalla lettura dell’elenco dei Paesi facenti parte di ESSI, non vi si ritrovano i nominativi dei Paesi del Sud Europa Mediterraneo.

Ciò in quanto Germania e Francia hanno visioni diverse su come difendere i cieli europei dalla minaccia russa. Berlino propone uno scudo comune (l’European Sky Shield Initiative).Da parte francese l’obiettivo è quello di estendere un sistema difensivo che si è sviluppato negli anni con l’Italia: 100% made in Europe, si tratta dell’unico sistema di difesa aerea europeo che nella sua recente evoluzione ha messo a punto spiccate capacità anche contro i missili balistici di teatro: l’Aster 30 Block1NT del consorzio EUROSAM (MBDA e Thales) impiegato da batterie terrestri e imbarcato su unità navali.

Secondo Jean-Pierre Maulny, vicedirettore dell’Istituto internazionale per le relazioni strategiche, “Se siamo estremamente dipendenti da apparecchiature prodotte al di fuori dell’Unione europea, ciò può porre problemi in termini di libertà di azione. La posta in gioco è alta e penso che dobbiamo trovare una sorta di equilibrio tra il breve termine, che è più o meno l’approccio tedesco, e il lungo termine, che è l’approccio francese”.

 

(Pubblicato su Elezioni e sistemi elettorali nel mondo)

– Leggi anche: Perché l’Unione europea funziona (ancora) male?

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