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Tutte le criticità dello European Beating Cancer Plan

European Beating Cancer Plan

Sono diversi gli aspetti che fanno discutere e alcuni rischiano persino di danneggiare la nostra economia. Ecco la rassegna delle preoccupazioni che riguardano lo European Beating Cancer Plan

 

Progetto ambizioso che, nella pratica, rischia però di essere la canonica montagna che partorisce il proverbiale topolino. Potremmo definire così il documento che prende il nome di European Beating Cancer Plan annunciato lo scorso 3 febbraio, volto a ridurre significativamente il numero di morti per cancro con investimenti pari a 4 miliardi del bilancio UE. Se non fosse che i risultati che potrebbe portare, oltre a essere molto modesti, rischiano persino di danneggiare la nostra economia. Topolini davvero dannosi, insomma. Ma andiamo con ordine.

LO EUROPEAN BEATING CANCER PLAN CONTRO IL MADE IN ITALY?

Secondo il presidente della Coldiretti Ettore Prandini che, all’annuncio della novella comunitaria, ha subito preso carta e penna per scrivere una lettera inviata al Commissario Europeo per gli affari economici Paolo Gentiloni, le misure della Commissione UE nell’ambito dell’attività di prevenzione del Piano “colpiscono prodotti simbolo del Made in Italy”.

Questo perché, tra le proposte avanzate, ci sono anche quelle di introdurre “allarmi per la salute nelle etichette delle bevande alcoliche prima del 2023 ed eliminare dai programmi di promozione i prodotti agroalimentari, come specificatamente le carni rosse e quelle trasformate, che vengono associati ai rischi di tumore”.

Quindi, per Coldiretti, rischia di andarci di mezzo soprattutto “l’Italia che è il principale produttore europeo di vino ma anche il Paese più ricco di piccole tipicità tradizionali che hanno bisogno di sostegni per farsi conoscere sul mercato e che rischiano invece di essere condannate all’estinzione”.

Per Prandini “A essere danneggiati sono prodotti dalla tradizioni secolari con un impatto devastante sull’economia, sull’occupazione, sulla biodiversità e sul territorio dove quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di prodotti tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado”.

“La norcineria italiana – commenta Coldiretti – è un settore di punta dell’agroalimentare nazionale grazie al lavoro di circa centomila persone tra allevamento, trasformazione, trasporto e distribuzione con un fatturato che vale 20 miliardi ma che è stato fortemente ridimensionato nel 2020 per effetto della chiusura della ristorazione che rappresenta uno sbocco di mercato importante soprattutto per gli affettati di grande qualità”.

“Senza dimenticare – concludono dall’associazione – il volano economico generato dal vino italiano che vale oltre 11 miliardi di fatturato lo scorso anno e offre opportunità di lavoro nella filiera a 1,3 milioni di persone. Con una produzione di oltre 46 milioni di ettolitri nella vendemmia 2020 che conferma il ruolo di leader mondiale davanti alla Francia la produzione tricolore è destinata per circa il 70% a vini Docg, Doc e Igt con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30 % per i vini da tavola”.

LE CRITICHE PER L’EQUIPARAZIONE SIGARETTE TOUT COURT – ECIG

Ma non finisce qui, perché numerose polemiche sono state sollevate anche con riferimento al lodevole obiettivo principale, che è quello di arrivare alla “generazione zero tabacco”. Obiettivo che l’Ue intende perseguire mediante l’abbattimento della percentuale dei fumatori dal 25% di oggi (22% in Italia), al 5%. Per fare questo si passerà attraverso una stretta annunciata su tutti i prodotti cari ai tabagisti. Ma lì sorgono i problemi e più di un dubbio.

La Commissione europea intende infatti colpire anche i nuovi prodotti, come le sigarette elettroniche. Viene così ignorato il principio della riduzione del danno con una equiparazione tra le sigarette tradizionali e i prodotti senza combustione – ecig e prodotti a tabacco riscaldato, come se di fatto questi ultimi fossero pericolosi per la salute al pari delle sigarette tout court.

Contro questa decisione si schierano non solo i produttori dei prodotti moderni, ma anche esperti, medici e scienziati di tutto il mondo che avallavano la riduzione del rischio, suggerendo di integrare, i tradizionali principi di prevenzione e cessazione. Si accusa così la Commissione di aver colpevolmente ignorato oltre 30 studi indipendenti e i pareri di oltre 10 enti regolatori, oltre alle recenti decisioni e approcci regolatori, come quello dell’FDA, secondo cui i prodotti senza combustione dovrebbero essere trattati diversamente dalle sigarette per velocizzare il passaggio dei fumatori che non smettono dal fumo di sigaretta ai prodotti innovativi.

GLI ESPERTI CONTRARI ALLO EUROPEAN BEATING CANCER PLAN

Secondo Fabio Beatrice, professore presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Torino e fondatore del Centro Anti-Fumo dell’ospedale San Giovanni di Torino, “Il piano contro il cancro annunciato dalla Commissione Ue nei giorni scorsi ha obiettivi molto ambiziosi. L’abbattimento della percentuale dei fumatori dal 25% di oggi (circa il 22% in Italia) al 5% nel 2040, per creare ‘una generazione zero tabacco’, è lodevole. Ma ridurre significativamente il numero di morti per tumore con una stretta su sigarette elettroniche e tabacco riscaldato è utopistico e irrealizzabile”.

“Non è chiaro – aggiunge Beatrice – quali strategie metteranno in atto i signori della Commissione Europea nei casi di soggetti resistenti alla proposta di cessazione, ovvero quelle persone che non vogliono smettere di fumare, che poi sono la stragrande maggioranza. Basti pensare che in Italia, su 12 milioni di tabagisti, appena 8mila si rivolgono ai Centri Anti-Fumo. Di questi, solo il 45% riesce nell’intento, in genere sono adulti che hanno avuto un tumore. Sicuramente i giovani non accedono a queste strutture”.

Per Francesco Riva, presidente del C.O.C.I. (Cenacolo Odontostomatologico Centro Italia): “L’European Beating Cancer contro il tabagismo rischia di non produrre gli effetti sperati, perché prevede una stretta sui nuovi prodotti equiparandoli alle sigarette tradizionali. Ma è un errore – afferma – poiché, rispetto alle sigarette tradizionali, questi dispositivi non prevedono la combustione. Sebbene non siano privi di rischio, rappresentano sicuramente delle alternative valide per tutti quei fumatori adulti che continuerebbero a fumare. Dunque, se si vuole ridurre la percentuale di fumatori, bisogna farlo con gradualità. Anche gli pneumologi consigliano ai tabagisti di utilizzare e-cig e tabacco riscaldato pur di smettere con le sigarette tradizionali perché con questi dispositivi non viene inalato il catrame”.

Del medesimo avviso Andrea Fontanella, direttore del Dipartimento di Medicina interna dell’Ospedale Buon Consiglio Fatebenefratelli di Napoli e presidente Fondazione Fadoi (Società scientifica di medicina interna): “Ridurre la percentuale dei fumatori in Europa dal 25% di oggi al 5% entro il 2040 è cosa buona e giusta, ma per farlo servirebbe un atteggiamento di praticità, invece quello della Commissione Ue è un provvedimento draconiano: non si possono equiparare le e-cig e il tabacco riscaldato alle sigarette tradizionali. L’obiettivo è giusto, ma la strada che si vuole percorrere è sbagliata. Chi troppo vuole alla fine nulla stringe”.

CHE SUCCEDE ORA?

I lavori sul piano europeo proseguono ma non sono ancora conclusi. La Commissione speciale sul cancro – Beating Cancer Committee (BECA) del Parlamento Europeo lavorerà adesso a un report che sarà pubblicato il prossimo settembre, mentre il 4 febbraio scorso si è aperta la fase di consultazione. La speranza di chi avanza le critiche che abbiamo riportato è che le istituzioni comunitarie prendano in considerazione il ruolo che i nuovi prodotti senza combustione possono giocare nella lotta al fumo e nel raggiungere l’obiettivo della prevalenza inferiore al 5% senza penalizzarli indiscriminatamente nella tassazione.

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