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Tutti i travagli dell’Italia con la decisione di Trump sull’Iran

Usa

Il presidente americano Donald Trump chiude le porte del mondo al petrolio iraniano. L’approfondimento di Alessandro Sperandio per Energia Oltre

Il presidente americano Donald Trump chiude le porte del mondo al petrolio iraniano. L’esenzione di sei mesi decisa a novembre per otto paesi, scadrà il prossimo 1 maggio e dal giorno seguente nessuno potrà più acquistare greggio da Teheran, salvo vedersi recapitare sanzioni da Washington. Il presidente Usa ha spiegato che la decisione “mira ad azzerare l’export di petrolio iraniano, negando al regime la sua principale fonte di entrate”.

L’ITALIA INTERESSATA ALLO STOP: ERA TRA GLI OTTO PAESI ESENTATI

Il provvedimento riguarda anche il nostro paese: tre degli otto paesi esentati avevano già cominciato a ridurre la loro importazione di petrolio dall’Iran e si tratta di Italia, Grecia e Taiwan. Gli altri cinque sono Cina, India, Turchia, Giappone e Corea del Sud.

IL COSTO DEL GREGGIO NON È PIÙ UN PERICOLO SECONDO WASHINGTON

Il rinnovo delle sanzioni non sono comunque una sorpresa, come ha ricordato Paolo Mastrolilli su La Stampa:”Qualche tempo fa Brian Hook, inviato speciale degli Stati Uniti per la politica verso l’Iran ci aveva anticipato durante un briefing che le esenzioni non sarebbero state rinnovate alla loro scadenza, il 2 maggio, per due motivi: primo, il pericolo dell’incremento del costo del greggio non è più così forte; secondo, Washington intende dare massima forza alla sua pressione sul regime”.

PER L’IRAN IRREALIZZABILE IL SOGNO USA

A rispondere agli Usa ci ha pensato il ministro del Petrolio di Teheran, Bijan Namdar Zandaneh: “Oggi, l’industria petrolifera iraniana sta guidando la lotta contro l’aggressione economica degli Stati Uniti e il piano di azzerare le esportazioni di petrolio dell’Iran è un sogno che non diverrà mai realtà”, ha detto durante un intervento davanti al Parlamento di Teheran, sostenendo che “gli Usa e i suoi alleati nella regione usano il petrolio come arma politica, ma alla fine subiranno perdite per la loro decisione”.

ENI NON PIÙ PRESENTE NEL PAESE

Il Corriere della Sera ha tra l’altro evidenziato come la posizione di Eni sulla questione sia del tutto tranquilla: il Cane a sei zampe ha spiegato, infatti, di non essere presente in Iran e che “non ha effettuato importazioni di greggio durante il periodo oggetto dell’esenzione”. Per quanto è noto, aggiunge La Stampa “non risulta che altre aziende petrolifere del nostro paese abbiano compiuto o stiano ancora compiendo operazioni nella Repubblica islamica. Lo stesso discorso vale per la Grecia e Taiwan ma non per gli altri”.

DECISIONE USA CRITICATA ASPRAMENTE DALLA CINA

Malgrado la Casa Bianca abbia rassicurato i mercati petroliferi che il mancato apporto iraniano verrà compensato dagli impegni di Usa, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, la decisione americana è stata criticata duramente dalla Cina che ha detto di opporsi “alle sanzioni unilaterali e alla giurisdizione ad ampio raggio” messa in campo da Washington. Degli otto paesi oggetto della deroga Cina, India, Turchia, Giappone e Sud Corea, invece, hanno già annunciato che continueranno a rifornirsi dal paese mediorientale, correndo il rischio delle sanzioni economiche.

Anche il governo indiano ha risposto alla decisione degli Stati Uniti di non concedere altre proroghe ai paesi che acquistano petrolio iraniano. “Siamo adeguatamente preparati ad affrontare l’impatto di questa decisione. Il governo continuerà a lavorare con i paesi partner, inclusi gli Stati Uniti, per trovare i modi possibili per proteggere i legittimi interessi di sicurezza energetica ed economica dell’India”, ha evidenziato il ministero degli Esteri indiano in una nota.

ARABIA SAUDITA E IRAQ PRONTE AD AUMENTARE LE FORNITURE

Intanto, l’Arabia Saudita si è detta pronta ad aumentare la produzione di petrolio per compensare la perdita potenziale del greggio iraniano al pari dell’Iraq. A riferirlo nel primo caso sono state alcune fonti del ministero dell’Energia saudita all’emittente “al Arabiya” che hanno anche riportate alcune dichiarazioni di un funzionario iracheno secondo cui Baghdad sarebbe pronta a incrementare le esportazioni di petrolio di 250 mila barili al giorno per compensare eventuali carenze delle forniture.

IMPATTO “NEUTRO O QUASI PER L’ITALIA”

L’impatto dovrebbe essere “neutro o quasi” per l’Italia, secondo quanto riporta Mf/Milano Finanza: “Secondo i dati del rapporto 2018 dell’Unione petrolifera, lo scorso anno le importazioni italiane dall’Iran si sono attestate a 9,3 milioni di tonnellate, superando quelle dall’Iraq. Ma, essendo ben chiaro il concetto di esenzione temporanea, le principali raffinerie del paese si sono organizzate per tempo diversificando le fonti di approvvigionamento e trovarsi pronte allo stop definitivo. A gennaio, per esempio, stando agli ultimi dati, le importazioni di greggio dall’Iran sono state pari a zero. Anche l’Eni, che come tutti i gruppo petroliferi occidentali deve informare periodicamente la Sec dei suoi rapporti con l’Iran, nell’ultimo rapporto ha messo in chiaro di aver chiuso tutti i canali d’affari con la Repubblica islamica e che già nel 2017 sono stati azzerati i crediti per il recupero di investimenti pregressi, pari a 264 milioni di euro”.

RISCHIO FIAMMATA PER I PREZZI DEL PETROLIO

Ma probabilmente non lo sarà per i prezzi dei carburanti, come ha chiarito il presidente di Nomisma Energia Davide Tabarelli in un intervento su La Stampa: “Il barile di Brent che fa da riferimento in Europa, può salire fino a 80-85 euro. All’offerta globale mancano o stanno venendo a mancare, contemporaneamente, l’Iran, la Libia, il Venezuela e in parte anche la Nigeria. Se non ci fosse l’apporto dello Shale oil americano, saremmo già a 200 dollari”. Probabilmente si raggiungeranno nuovamente i prezzi di sei mesi fa, quando l’annuncio delle sanzioni portò i prezzi alla pompa a lievitare fino a 1,669 euro al litro (momento in cui il barile costava 85,92 dollari).

IL RISCHIO DI AUMENTO DEI PREZZI DEI CARBURANTI. COLDIRETTI: SVILUPPARE BIOMETANO

L’unico rischio che può interessare direttamente l’Italia, così come altri paesi europei, è quello di un aumento dei prezzi dei carburanti. “In un Paese come il nostro dove l’85% dei trasporti commerciali avviene per strada l’aumento dei prezzi dei carburanti ha un effetto valanga sulla spesa con un aumento dei costi di trasporto oltre che di quelli di produzione, trasformazione e conservazione”, ha affermato la Coldiretti secondo la quale “l’aumento è destinato a contagiare l’intera economia perché se salgono i prezzi del carburante si riduce – sottolinea la Coldiretti – il potere di acquisto degli italiani che hanno meno risorse da destinare ai consumi mentre aumentano i costi per le imprese”. “In queste condizioni è importante individuare alternative energetiche come previsto dal primo accordo di collaborazione tra Eni e Coldiretti per sviluppare la filiera italiana del biometano agricolo e rendere più sostenibile la mobilità in un’ottica di economia circolare. Si tratta di sviluppare nel settore trasporti la filiera nazionale del biometano avanzato, prodotto da rifiuti, valorizzando gli scarti e sottoprodotti ottenuti dall’agricoltura e dagli allevamenti. L’obiettivo per Eni e Coldiretti è la creazione della prima rete di rifornimento per il biometano agricolo ‘dal campo alla pompa’ per raggiungere una produzione di 8 miliardi di metri cubi di gas ‘verde’ entro il 2030 e aiutare l’ambiente”, ha concluso l’associazione.

 

Articolo pubblicato su EnergiaOltre.it

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