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Chi e perché bandisce il vino in Ue?

VINO UE IRLANDA

I problemi e le conseguenze della decisione irlandese sul vino nell’articolo di Giulia Alfieri su Start Magazine

Dopo l’etichetta a semaforo del Nutriscore, i salutisti dell’Unione europea tornano alla carica con un’altra battaglia: quella contro il vino. A fare da apripista è stata l’Irlanda, che per combattere il problema dell’alcolismo nel Paese, aveva proposto di applicare un health warning (ovvero un’allerta) sulle bottiglie di vino, come accade per le sigarette.

La norma, decisa da Dublino e notificata a giugno a Bruxelles, ha solo dovuto attendere la scadenza della moratoria, giunta a fine dicembre 2022, per poter essere applicata dalle autorità nazionali. Ma oltre alla preoccupazione (non solo italiana) per le ripercussioni che questa decisione potrà avere sull’economia e, in particolare sull’export, politici, imprenditori e agricoltori denunciano il silenzio-assenso da parte della Commissione europea che crea un pericoloso precedente e mette in dubbio principi fondanti dell’Ue come il mercato comune.

Inoltre, anche la scienza sembra essere stata messa da parte nella decisione di bandire il vino. Infatti, sono sempre di più gli studi che dimostrano che un suo consumo moderato non nuoce alla salute, bensì può avere effetti positivi.

IRLANDA CONTRO IL VINO?

L’Irlanda, con il benestare dell’Unione europea, potrà dunque applicare sugli alcolici un’etichetta con scritto “il consumo di alcol provoca malattie del fegato” oppure “alcol e tumori mortali sono direttamente collegati”.

La battaglia portata avanti da Dublino si spiega come una mossa per risolvere il problema dell’alcolismo in quanto, anche secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’Irlanda è tra i Paesi che consumano più alcol non solo in Europa ma anche nel mondo.

Tra i contrari, insieme all’Italia, si schierano anche due tra i principali Paesi produttori di vino in Europa, Francia e Spagna, e altri 6 Stati.

DUBLIN DATA

Secondo i dati di Alcohol Action Ireland, il consumo di alcol puro pro capite tra chi ha più di 15 anni è stato di 10,07 litri nel 2020, che corrisponde a poco meno di 40 bottiglie di vodka, 113 bottiglie di vino o 436 pinte di birra e supera del 40% il livello di consumo indicato dalle linee guida dell’agenzia governativa Health Service Executive (HSE).

Un aspetto, però, di cui non tiene conto la norma, ma che l’HSE precisa, è il modo in cui si beve in Irlanda. Infatti, un’indagine nazionale sulle droghe e l’alcol del 2019-2020 ha rilevato che il 40% dei bevitori consuma pesantemente alcol almeno una volta al mese e quasi un quarto lo fa ogni settimana, mentre un disturbo da uso di alcol è stato riscontrato nel 14,8% della popolazione, cioè in 1 persona su 7.

Nel Paese, l’alcol è responsabile di oltre 1.000 morti all’anno.

BINGE DRINKING O CONSUMO MODERATO?

Ma il binge drinking, ovvero l’assunzione di varie bevande alcoliche in un intervallo di tempo più o meno breve, fenomeno per cui l’Irlanda nel 2016 era seconda al mondo (solo dopo l’Austria), non è la stessa cosa che bere responsabilmente.

“È del tutto improprio assimilare l’eccessivo consumo di superalcolici tipico dei Paesi nordici al consumo moderato e consapevole di prodotti di qualità ed a più bassa gradazione come la birra e il vino, diventato in Italia l’emblema di uno stile di vita attento all’equilibrio psico-fisico, da contrapporre all’assunzione sregolata di alcol”, ha detto Ettore Prandini, presidente della Coldiretti.

Dello stesso parere anche la presidente di Federvini, Micaela Pallini: “Un sistema unilaterale che spacca il mercato unico europeo, una modalità discriminatoria perché non distingue tra abuso e consumo e criminalizza prodotti della nostra civiltà mediterranea senza apportare misurabili ed effettivi benefici nella lotta contro il consumo irresponsabile”.

Tra l’altro, secondo uno studio dell’Unione italiana vini (Uiv) citato dal Sole24Ore, nell’ultimo decennio il consumo di alcol pro capite ha subito un decremento medio annuo del 3,2% in Italia, dell’1,8% nel Regno Unito, dell’1,4% in Francia e Paesi Bassi e dell’1% in Germania.

TUTTI I DANNI DELLA DECISIONE

Per quanto non unica conseguenza negativa della decisione di Dublino, non si può non considerare anche il danno economico che potrebbe derivarne. Sebbene l’Irlanda di per sé non sia tra i principali importatori di vino italiano, si tratta di un precedente che mette a rischio un intero settore che nel nostro Paese, stando a Coldiretti, dà lavoro a 1,3 milioni di persone ed è responsabile di un giro di affari di 14 miliardi di euro, di cui più della metà provengono dall’estero e 3 miliardi dall’export nei Paesi Ue.

Ma le ripercussioni, secondo l’associazione, potrebbero farsi sentire anche in casa. Un loro sondaggio online ha infatti mostrato che il 23% degli italiani smetterebbe di bere vino o ne consumerebbe di meno se in etichetta trovasse scritte allarmistiche come quelle dei sigarette.

COMPRESI QUELLI POLITICI

Prandini ha voluto però anche sottolineare l’impatto dell’etichetta ‘terroristica’ da un punto di vista politico: “La cosa che più spiace è che viene data la possibilità ai singoli Stati di muoversi in autonomia”.

A cui ha fatto eco il presidente di Uiv, Lamberto Frescobaldi: “Il silenzio assenso di Bruxelles a Dublino relativo alle avvertenze sanitarie in etichetta per gli alcolici rappresenta una pericolosa fuga in avanti da parte di un Paese membro. Secondo Uiv, il mancato intervento della Commissione europea mette a repentaglio il principio di libera circolazione delle merci in ambito comunitario e segna un precedente estremamente pericoloso in tema di etichettatura di messaggi allarmistici sul consumo di vino”.

Anche Paolo De Castro, membro della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento europeo ha osservato sia le difficoltà in cui vengono messi i produttori che “si troverebbero a dover rispettare norme di etichettatura differenti da un paese Ue all’altro” che l’indifferenza da parte della Commissione Ue, la quale non ha minimamente preso in considerazione “la posizione approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento Ue che, nella risoluzione sulla lotta contro il cancro del febbraio scorso, ha categoricamente escluso l’introduzione di sistemi di etichettatura sanitari, come quelli presenti sui pacchetti di sigarette”.

Tuttavia, per l’europarlamentare non è ancora detta l’ultima parola: “Fortunatamente il via libera non è definitivo: ora l’Irlanda dovrà essere autorizzata anche dall’Organizzazione Mondiale del Commercio, in quanto questa normativa rappresenta una barriera anche a livello internazionale. Un processo che prevede una durata di circa 60 giorni”.

 

(Articolo pubblicato su Start Magazine)

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