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Zee e pipeline, cosa prevede l’accordo fra Turchia e Israele

Zee Israele

La proposta avanzata da parte turca di un accordo di cooperazione con Israele nel Mediterraneo contiene vantaggi reciproci importanti in materia di zone economiche esclusive (Zee) ed energia. L’analisi di Giuseppe Mancini per Policy Maker

Un accordo tra Turchia e Israele per delimitare le rispettive aree di sovranità marittima nel Mediterraneo orientale. Lo ha proposto Cihat Yayci: oggi direttore del Centro per le strategie marittime e globali dell’università Bahçesehir a Istanbul, ma fino a pochi mesi fa Capo di stato maggiore della Marina militare turca. Il contrammiraglio Yayci è noto per aver elaborato la dottrina della “Patria azzurra” (Mavi Vatan), che promuove un ruolo da protagonista della Turchia sui mari che la circondano, e per aver curato il trattato turco-libico sempre in materia di zone economiche esclusive (Zee).

La sua proposta è arrivata in modo apparentemente irrituale ma comunque politicamente significativo: un articolo dall’impostazione accademica sulla rivista elettronica Turkeyscope – in inglese – di un prestigioso centro di ricerche israeliano, il Moshe Dayan Center dell’università di Tel Aviv. Il titolo dice già molto: “Israel is Turkey’s Neighbor Across the Sea”, Israele e Turchia cioè come “paesi confinanti” (almeno sul mare).

È però importante anche il contesto politico di questa pubblicazione, perché da qualche mese – come ha riportato ad esempio il quotidiano israeliano Israel Hayom – ci sono stati contatti tra i servizi segreti dei due paesi, con l’obiettivo di far tornare in sede i rispettivi ambasciatori dopo due anni di assenza e di esplorare per l’appunto forme di cooperazione nel Mediterraneo.

Yayci ha voluto precisare a Policy Maker che il suo scritto è tratto da un libro già pubblicato (in turco) nel 2019 ed è “il risultato del proseguimento naturale di questo lavoro”, in versione inglese – curata insieme a Zeynep Ceyhan – “per poterlo meglio diffondere nel contesto accademico internazionale”. Un lavoro presentato come accademico perché la proposta concreta rivolta a Israele – non formale, però sondaggio in piena regola – si fonda sulla rigorosa applicazione del diritto internazionale.

In cosa consiste questa proposta? In primo luogo, nella delimitazione bilaterale delle rispettive zone economiche esclusive; in secondo luogo, nella costruzione di una pipeline per convogliare il gas israeliano verso i mercati occidentali attraverso la rete turca già esistente. Israele avrebbe da questo accordo una duplice convenienza: otterrebbe un’area più estesa – e di conseguenza maggiori risorse energetiche – di quella prevista dall’accordo con la Repubblica di Cipro del 2010, inoltre potrebbe trasportare il suo gas con costi molto molto inferiori rispetto all’EastMed progettato insieme ai greci e ai ciprioti.

Sul gasdotto da costruire e sulla convenienza del tracciato turco, Yayci è lapidario: “la Turchia possiede una realtà geografica che non può essere cambiata; piaccia o no, il territorio turco è l’unica via possibile per questo progetto e io sono convinto che gli Stati siano pragmatici”.

Anche la Turchia otterrebbe vantaggi da un simile accordo: già solo per la ritrovata partnership con Israele, in una fase di ostilità col blocco che comprende – nel Mediterraneo orientale – soprattutto Grecia, Egitto e Francia, ma anch’essa in termini di aree di sovranità marittima (circa 10.000 chilometri quadrati e porzioni dei blocchi esplorativi ciprioti) e di royalties per il passaggio del gas sul suo territorio. Ci rimetterebbe invece la Repubblica di Cipro, che perderebbe i giacimenti coi quali vuole assicurarsi l’indipendenza energetica per i prossimi decenni.

Applicando i principi del diritto internazionale su mappe molto accurate, Yayci assegna a Israele 16.000 chilometri quadrati in più e soprattutto dei blocchi esplorativi per gli idrocarburi su cui oggi i ciprioti esercitano la sovranità, compreso il 12 che contiene il ricchissimo giacimento Afrodite. “Realisticamente e accademicamente parlando, il comportamento più pragmatico e legale per Israele è fare un accordo con la Turchia”

Il contrammiraglio turco sostiene che con il trattato attuale, nato a suo avviso da un’interpretazione erronea dei principi giurisprudenziali, Israele ha rinunciato a 4.600 chilometri quadrati di sovranità e quindi in ogni caso a cospicue risorse. ”È comunque nell’interesse e a beneficio di Israele porre fine all’attuale accordo con l’Amministrazione greco-cipriota”, ci ha spiegato.

La proposta è apparentemente ghiotta per Tel Aviv, ma gli ostacoli politici da superare non sono pochi: il continuo sostegno di Ankara per Hamas, oltre alla frequente retorica anti-israeliana del presidente turco Erdoğan; il sacrificio degli interessi e dei diritti della Repubblica di Cipro, che con ogni probabilità scatenerebbe un’offensiva legale e politica contro l’abbandono unilaterale del trattato.

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