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Zelensky, dietrofront sulla NATO. Cosa può succedere ora

Zelensky

I Graffi di Damato

Il botto questa volta per fortuna non lo ha fatto Putin, anche se non sono mancati neppure ieri bombardamenti e simili da lui ordinati alla carta sull’Ucraina, come spuntando il menù del ristorante di giornata, se ha ancora il tempo e i coraggio di mettervi piede a Mosca sera farlo prima svuotare. Il botto lo ha fatto l’antagonista e quasi omonimo Volodoimic, Parlo naturalmente del presidente ucraino Zelensky, che ha smesso per un momento di recitare la parte del guerriero e, senza tornare in quella vecchia o tradizionale di comico, si è lasciata scappare una valutazione realistica, di buon senso. Ha detto che non è questo il momento, se lo è mai stato prima, di una partecipazione dell’Ucraina alla Nato. Dove di solito -nonostante il vecchio precedente della Turchia- cercano di tenere lontani paesi in grado di diventare più problemi che risorse.

Sin dal primo momento di questa tragedia, quando era già chiaro che Putin disponeva più di pretesti che di ragioni per mettere a ferro e a fuoco i vicini immaginandosi una mezza reincarnazione di Pietro il Grande, e per fortuna non di un Lenin, di uno Stalin o di un Breznev, ho francamente diffidato di questo Zelenski: un po’ emulo -diciamo la verità- di un uomo che abbiamo ben conosciuto e provato in Italia, meno anziano o più giovane di lui, di none Beppe e di cognome Grillo. Che, con più umiltà dell’ucraino, ha assunto a suo modo un “avvocato del popolo”, senza attribuirsene direttamente il ruolo di servitore, ed ha cercato di ripetere l’operazione già tentata fra il 1992 e il 1993 dai magistrati di Milano e loro emuli un pò in tutta Italia di rivoltare il Paese come un calzino.

Per fortuna nostra, ma un pò anche sua perché avrebbe rischiato pure lui qualcosa che non aveva messo in conto, Grillo ha avuto come interlocutori prima Sergio Mattarella e poi Mario Draghi. L’unica cosa che è riuscito davvero a dissipare, oltre alla consistenza di un MoVimento valutato attualmente per meno della metà sei voti raccolti nel 2018, è quella manciata di banconote da un milione di euro lanciate figurativamente dall’allora capo ancora del MoVimento e vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio sulla folla raccoltasi davanti a Palazzo Chigi e finalmente liberata -secondo l’ironia del costituzionalista PaoloArmaroli in un libro appena uscito- dall’incubo della povertà. Peccato che adesso non sappiano neppure come pagare la luce o il gas di una casa neppure riscaldata.

Generoso come sempre con gli attori, probabilmente per tradizioni familiari e culturali, il buon Giuliano Ferrara, sempre meglio rimesso dall’intervento al cuore che ha pompato per una vita una quantità impressionante di sangue, Giuliano Ferrara ha definito Zelensky “Il Churchill di Kyiv”. Del quale ha scritto sul Foglio, nell’impeto di cui solo lui è capace in certi momenti letterari, che “parla molto, sbuca da ogni dove e incanta le tribune maggiori di tutto il mondo con i suoi collegamenti attendisti, sta nella posizione scomodissima di chi rischia personalmente e diffonde senso di colpa per la sua sorte, non condivisa da buoni cattivi e cinici indifferenti, un tipo naturalmente superiore alle loro e mie opinioni. La sua resistenza impossibile, e imprevedibile per un comico d’avanspettacolo fattosi profeta dell’identità adamantina di una comunità di destino, che è diventata a sorpresa perfettamente europea, disposta al sacrificio e al negoziato anche il più spinto”.

Va bene, Giuliano. Ora lascia che riflettiamo un pò su tutto quello che hai scritto e che magari ti è rimasto ancora dentro e farai uscire più avanti. E speriamo che, per quanto in ritardo, quel certo realismo finalmente affiorato dal tuo Zelensly serva a fermare Putin e a resitituirlo alla frequentazione e ai buoni sentimenti di certi nostri comuni amici, anch’essi in fondo uomini di spettacolo in senso vasto, rimasti in questi giorni troppo prudentemente in silenzio, non so se più col fiato o col culo sospeso per aria.

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