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Come sono andate le amministrative per Salvini, Di Maio e Zingaretti

I graffi di Damato sui risultati dei ballottaggi comunali di domenica per le amministrative, felici per Salvini, meno per Di Maio e di sollievo per Zingaretti

Con la conquista di Ferrara, strappata alla sinistra dopo una settantina d’anni, quanti ne ha all’incirca la Repubblica, la Lega di Matteo Salvini può forse intestarsi davvero il secondo e decisivo turno delle corpose elezioni amministrative di questo 2019, prezioso scampolo -in qualche modo- delle elezioni europee del 26 maggio. Che sono state già molto generose per il Carroccio, avendone fatto il partito più votato in Italia con quel 34 per cento umiliante soprattutto per i momentanei alleati grillini di governo, precipitati di quindici punti in un solo anno di collaborazione con la Lega, appunto.

RISOLLEVATO IL PD

Un sospiro di sollievo può ben essere riconosciuto dopo i ballottaggi comunali al Pd di Nicola Zingaretti, che ha potuto riconquistare la postazione storica di Livorno e conservare, fra l’altro, quella di Reggio Emilia.

LA PARTITA GRILLINA

I grillini avevano ben poco da giocare nei ballottaggi, essendo in pista solo a Campobasso. Dove hanno vinto -e alla grande, bisogna ammetterlo- con quel 69 e più per cento contro il 30,9 del candidato del centrodestra- ma ad un prezzo politico particolarmente imbarazzante e un pò ansiogeno per il loro capo Luigi Di Maio, reduce da un pranzo con Beppe Grillo in persona in cui gli ha chiesto aiuto con tutte e due le mani, non bastandogliene una, per contenere nel movimento il debordante leader dell’ala ortodossa di sinistra e presidente della Camera Roberto Fico. Ebbene, a Campobasso le cinque stelle hanno potuto brillare grazie alla luce ad essa fornita, votando il loro sindaco, dal Pd caro a Fico. E il partito di Zingaretti ha potuto a sua volta avvalersi anche di quel poco di energia rimasta ai grillini nella lontana Livorno per riprendersene il Municipio.

NEL FRATTEMPO, RIANIMATO IL GOVERNO GIALLOVERDE

Non è proprio il massimo della chiarezza, e neppure del conforto, bisogna ammetterlo, per la decisione appena presa a Roma da Di Maio, col sostegno di Grillo, Davide Casaleggio e appendici, di rianimare l’alleanza di governo col pur cresciuto di peso Salvini. Che ora gli può dettare l’agenda di governo ancor più di prima e contare sul suo aiuto anche per contenere le ambizioni nel frattempo cresciute del presidente del Consiglio Giuseppe Conte per l’aria immessa nelle sue gomme dal presidente della Repubblica in persona, Sergio Mattarella, disposto a concedere al professore, avvocato e quant’altro persino le elezioni anticipate nel caso in cui gli venisse la tentazione di rompere con i due vice assedianti e aprire una crisi di governo. Dalla quale però Salvini, non proprio nelle grazie del capo dello Stato, con tutte le allusioni critiche che gli rivolge in giro per le stanze del Quirinale e per le piazze e le strade d’Italia, avrebbe tutto da guadagnare e Di Maio tutto, ma proprio tutto da perdere.

ARCHIVIATA LA PRIMAVERA ELETTORALE

In questa situazione un po’ paradossale e pasticciata, archiviata ormai la primavera elettorale di questo 2019,  che doveva essere peraltro per Conte “un anno bellissimo”, si apre la cosiddetta, conclamata e scaramanticamente rischiosa “fase 2” del governo gialloverde, tra problemi falsi e veri, manovre sopra e sotto traccia, a livello nazionale ed europeo. Dove una procedura d’infrazione per eccesso di debito messa è stata appena messa in cantiere dalla pur uscente Commissione di Bruxelles. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha annunciato dal lontano Giappone, dopo averne parlato col promotore Pierre Moscovici, la convinzione di potersene e potercene risparmiare uno sviluppo infausto. Ma il solo scambio delle prime lettere di contestazione dei conti  ha già precluso di fatto all’Italia la possibilità di aspirare nella nuova Commissione di Bruxelles alla successione, guarda caso, proprio al francese Moscovici.

 

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