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Ministeri e dipartimenti, ecco come cambiano con il Governo Meloni

Ministeri Dello Stato, Come Sono Cambiati Con Meloni

La riorganizzazione degli apparati di vertice dello Stato , cioè quelli ministeriali, differisce da quella portata avanti dagli ultimi due esecutivi. Il dossier di Openpolis

Al contrario dei due governi precedenti, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni non ha, almeno per il momento, istituito nuovi ministeri. Almeno in principio infatti il governo è sembrato limitarsi a un cambio di denominazione.

Tuttavia, nel corso dei mesi l’attività dell’esecutivo volta a modificare la struttura degli apparati di vertice dello stato (i ministeri appunto) si è intensificata. Tralasciando gli interventi relativi alla governance del Pnrr, che per definizione non sono permanenti e rimarranno attivi solo per la durata del piano, le modifiche introdotte dall’esecutivo in diversi ministeri sono tutt’altro che marginali.

I MINISTERI DELLO STATO TOCCATI DA MELONI

6 i ministeri su cui il governo Meloni è intervenuto a livello strutturale.

Si tratta dei ministeri dell’economia, della salute, del lavoro, della cultura, dell’università e del turismo. In alcuni casi certo gli interventi sono stati più modesti, consistendo sostanzialmente in un aumento degli uffici di vertice. In altri, la modifica ha riguardato la struttura stessa del dicastero che, a seconda dei casi, può avere al proprio vertice dei dipartimenti o delle direzioni generali.

Le azioni adottate nei confronti di questi dicasteri in ogni caso non sono esaustive dell’opera di riorganizzazione avviata dall’esecutivo.

ECCO LE NUOVE DIREZIONI GENERALI

In 3 dei 6 ministeri in cui si è intervenuti più incisivamente le modifiche hanno, tra le altre cose, aumentato il numero di strutture di vertice.

3 i ministeri che hanno aumentato il numero delle proprie strutture di vertice.

Sia il ministero dell’università che quello del turismo sono dicasteri recenti, che fino a pochi anni fa facevano parte di altre strutture. Fino al 2020 le competenze in materia di università e ricerca erano gestite da un dipartimento del ministero dell’istruzione e dell’università. Una struttura articolata a sua volta in 3 direzioni generali. Con la nascita del nuovo dicastero però le direzioni generali sono da subito aumentate diventando 6 (incluso il segretario generale). Poi, con il decreto legge 44/2023, le direzioni generali sono diventate 8, almeno sulla carta. Attualmente, infatti, non è ancora entrato in vigore il nuovo regolamento del dicastero.

Le competenze del ministero del turismo invece fino al 2021 erano esercitate dal ministero della cultura, attraverso un’apposita direzione generale. Le sue articolazioni dunque si limitavano solo a tre uffici dirigenziali di livello non generale. Con la nascita del ministero invece sono state previste 4 direzioni generali (incluso il segretario generale). A fine febbraio 2023, con l’approvazione del Dl 13/2023, questo numero è cresciuto, passando a 5 e, solo due mesi dopo, è aumentato ancora arrivando a 7 (Dl 44/2023). Anche in questo caso comunque il regolamento non è ancora entrato in funzione. Il 3 agosto tuttavia il testo è stato approvato in esame preliminare dal consiglio dei ministri.

IL NUOVO MEF

Le novità più importanti riguardano il ministero dell’economia e delle finanze (Mef), che d’altronde rappresenta, da alcuni punti di vista, il dicastero più importante della struttura statale. Il Mef nasce nel 1999 dalla fusione del ministero del tesoro e da quello delle finanze e sin da quel momento la legge gli ha attribuito un massimo di 5 dipartimenti.

Dopo il primo periodo di attività però il regolamento del dicastero (sia nella versione del 2008 che in quelle successive) ha definito una struttura composta di 4 dipartimenti:

  • dipartimento del tesoro;
  • dipartimento della ragioneria generale dello stato:
  • dipartimento delle finanze;
  • dipartimento dell’amministrazione generale.

Questo modello organizzativo è rimasto stabile fino a pochi mesi fa quando il ministero ha chiesto al consiglio di stato un parere su una nuova bozza di regolamento. Il testo prevedeva l’introduzione del dipartimento dell’economia, scorporando alcune competenze del tesoro. La corte ha espresso parere favorevole (sez. consultiva per gli atti normativi, affare n. 00495/2023) pur suggerendo numerose modifiche ed esprimendo perplessità rispetto a un’operazione che si limita a scorporare da un dipartimento strutture già esistenti e funzionanti.

– Leggi anche: Paolo Ciocca e Marcello Sala, chi scalpita per il Dipartimento partecipate del Mef

La relazione illustrativa si limita a motivare tale rilevante intervento con l’intendimento di ricondurre sotto un’unica struttura, in un’ottica di razionalizzazione delle funzioni, peculiari attività del ministero svolte in precedenza dal dipartimento del tesoro, né fornisce elementi che consentano di riconnetterlo alle priorità e alle relative attività strategiche contenute nell’atto di indirizzo del 26 gennaio scorso, il quale del resto tace sul punto.

Nonostante il parere favorevole, però, il testo non è mai effettivamente entrato in vigore. Questo perché nel frattempo il governo aveva adottato il Dl 44/2023, con il quale il numero massimo di dipartimenti del Mef passava da 5 a 6. Una modifica per cui è stato necessario elaborare un nuovo regolamento, che è stato sottoposto all’esame del consiglio dei ministri lo scorso 26 luglio.
Quando quest’atto sarà effettivamente pubblicato in gazzetta ufficiale ai 4 dipartimenti attualmente operativi si aggiungeranno il dipartimento dell’economia e il dipartimento della giustizia tributaria. Questa struttura assumerà competenze che attualmente sono esercitate dal dipartimento delle finanze e in particolare dalla direzione generale per la giustizia tributaria, incrementando i costi amministrativi del Mef di circa 2,4 milioni di euro l’anno.

QUANTO SONO AUMENTATE LE STRUTTURE

Le modifiche introdotte in questi dicasteri hanno certamente una propria buona motivazione. Resta il fatto però che nel corso degli ultimi 3 anni una direzione generale del ministero della cultura è diventata un ministero composto di 6 direzioni generali, un dipartimento del ministero dell’istruzione è stato trasformato in un ministero con 7 direzioni generali e i dipartimenti del Mef sono passati da 4 a 6.

Aumentare le posizioni di vertice vuol dire necessariamente un aumento della spesa, a meno che non si tagli da qualche altra parte.

LA MACCHINA DELLO STATO: DALLE DG AI DIPARTIMENTI

In altri 3 casi le norme adottate nel corso dell’ultimo anno non hanno portato alla proliferazione del numero di strutture di vertice quanto, piuttosto, al passaggio da un’organizzazione per direzioni generali a una per aree dipartimentali.

3 i ministeri che sono passati da un’organizzazione per direzioni generali a una per dipartimenti.

A differenza delle strutture organizzate per direzioni generali, in cui ciascuna di queste fa capo al segretario generale, un’organizzazione per dipartimenti presuppone la suddivisione delle materie di competenza in aree omogenee. Per ognuna di queste il vertice amministrativo è rappresentato dal capo dipartimento che come suo superiore ha soltanto il ministro.

Si tratta in tutti e 3 i casi di organizzazioni importanti, ovvero dei ministeri del lavoro, della salute e della cultura.

Il ministero della salute è il primo ad aver avviato questo iter, con l’adozione del Dl 173/2022, anche se ad oggi non è ancora stato adottato il regolamento. In ogni caso dovrebbe essere organizzato tramite 4 dipartimenti. Viene da chiedersi certo se questa compartimentazione per aree omogenee non sia in parziale contraddizione con la strategia one health adottata dal ministero stesso, che prevede un’approccio integrato tra le diverse discipline. In ogni caso questo dicastero era già stato strutturato per dipartimenti in passato.

Nei mesi successivi si è poi intervenuti sul ministero del lavoro, passato da 10 direzioni generali a 3 dipartimenti, e sul ministero della cultura, passato da 12 direzioni generali a 4 dipartimenti.

VERSO LA NOMINA DEI NUOVI DIRIGENTI

Come accennato, i ministeri che hanno aggiunto nuovi dipartimenti o direzioni generali si troveranno ora a dover nominare i dirigenti di queste strutture. Ma quelli che hanno invece modificato il tipo di organizzazione dovranno rinominare tutti i nuovi vertici. Una specie di spoils system fuori tempo massimo.

Estratto da un dossier pubblicato su Openpolis

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