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Calano i consumi di sigarette a favore dei prodotti innovativi, ma non per tutti è una buona notizia

Tabacco Riscaldato

Cosa dicono sui consumi di sigarette i dati di British American Tobacco e Ocse presentati alla Luiss in occasione del convegno Casmef “La fiscalità del tabacco tra sostenibilità del gettito e cambiamento strutturale della domanda”. Presenti Minenna (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli), Baretta (Mef), Spallone (Università D’Annunzio di Chieti-Pescara)
Secondo i dati forniti da British American Tobacco (Bat) e Ocse, e presentati da Marco Vulpiani di Deloitte durante l’evento online organizzato da Casmef-Luiss “La fiscalità del tabacco tra sostenibilità del gettito e cambiamento strutturale della domanda”, nel 2019 sono state vendute “solo” 64,4 milioni di sigarette. Nel 2004 erano state 99,8 milioni. Un successo per la sanità pubblica atteso per anni, ma non tutti festeggiano.

I consumi di sigarette rallentano anche per la concorrenza dei prodotti innovativi, come quelli a tabacco riscaldato. Prodotti che hanno rappresentato la reazione dell’industria alla crisi dei consumi di “bionde”,e che hanno di fatto perseguito proprio le politiche di riduzione del danno, con importanti riconoscimenti, come quello della Food And Drug Administration USA. Riconoscimenti che non hanno potuto però risparmiare i prodotti a tabacco riscaldato dalle querelle sulla fiscalità, tema che è tornato al centro della discussione all’indomani dell’approdo in Parlamento della legge di Bilancio.

Tra i relatori all’evento Casmef-Luiss, anche il presidente dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Marcello Minenna, il sottosegretario di Stato al Ministero dell’Economia e delle Finanze, Pierpaolo Baretta, e il professor Marco Spallone, ordinario all’Università D’Annunzio di Chieti-Pescara e coordinatore dello stesso centro.

Il declino delle sigarette

I dati mostrano innanzitutto che il volume delle vendite di sigarette “è diminuito costantemente dal 2004, quando era di 99,8 miliardi di unità, raggiungendo i 64,4 miliardi nel 2019”, e il prezzo “è aumentato di oltre l’1% in più rispetto all’inflazione tra il 2009 e il 2019”.

È quanto confermano i dati Bat e Ocse sui consumi di sigarette. Parallelamente, i relatori hanno sostenuto che l’aumento del tabacco riscaldato ha comportato un minor consumo di sigarette tradizionali e quindi, di conseguenza, del gettito fiscale. Dato che però stride con quanto si legge nel Libro Blu 2019 dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che fotografa una situazione nella quale al calo delle sigarette senza precedenti (-6,80%, in volume, dal 2017), trainato anche dalla sostituzione delle sigarette con i prodotti senza combustione, fa da contraltare una sostanziale stabilità del gettito complessivo per lo Stato.

In particolare, stando all’ultimo bollettino delle entrate tributarie, nel periodo gennaio-settembre 2020 (in piena crisi pandemica, quindi) il gettito derivante dai tabacchi è addirittura aumentano di 44 milioni di euro.

Tabacco riscaldato e salute

Se per il professor Spallone, intervenuto al convegno di Bat: “Gli studi scientifici hanno messo in luce come l’uso di tabacco riscaldato non comporti alcun beneficio dal punto di vista della salute per i consumatori”, Fabio Beatrice, specialista in Otorinolaringoiatria e Audiologia, professore presso l’Università di Torino e fondatore del Centro Antifumo dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino spiega: “Le notizie sul calo del consumo di sigarette in Italia sono certamente degne di interesse e come tali devono essere messe al centro dell’attenzione da parte della comunità medico scientifica.

Queste però non appaiono come il risultato di politiche di contrasto al tabagismo. I centri antifumo infatti raggiungono una quota di circa lo 0,1% dei 12 milioni di fumatori ed oltre il 50% dei tentativi di cessazione, pur gestiti in conformità alle linee guida, è destinato all’insuccesso. Sembra piuttosto che il calo sia dovuto al fatto che un sempre maggior numero di fumatori orienti spontaneamente il suo consumo su dispositivi elettronici”.

Fabio Beatrice spiega anche che i dati italiani confermano come anche nel nostro paese, come già avviene nei paesi aglosassoni e orientali “a fronte dell’immissione dei dispositivi senza combustione si registrano cali significativi nel consumo di sigarette. Essendo un medico e un uomo di scienza – aggiunge il professore di Torino  – sono interessato a posizioni di aiuto verso i fumatori che appaiono messi al muro tra le proposte di cessazione destinate in massima parte al fallimento e le malattie fumo correlate di cui pure hanno piena consapevolezza. È il dramma della dipendenza ma in Italia si continua a rimanere su posizioni assai rigide caratterizzate da una esclusività della proposta di cessazione. A fronte di questa posizione gli spostamenti dei consumi indicano che questi nuovi prodotti rappresentano un modo per i forti fumatori di ridurre le sostanze inalate nella speranza di avere in futuro meno problemi di salute.

Ovviamente tale comportamento non ha a che vedere con il concetto di sicurezza dei nuovi prodotti e non deve distogliere dall’obiettivo primario della cessazione totale del consumo di nicotina.Dal punto di vista della tutela della salute pubblica però, visti i fallimenti delle proposte di cessazione, il fenomeno non può essere ignorato. Andrebbe piuttosto esaminato dal punto di vista scientifico per valutarne l’utilità clinica nelle politiche di aiuto ai tabagisti resistenti alla cessazione. Queste persone sono altrimenti destinate ad ammalarsi di cancro, infarto, ictus e broncopneumopatie. Poiché il fumo di sigaretta produce 80 mila morti all’anno la questione pare di urgente attualità e necessiterebbe di essere gestita con pragmatica scientificità”.

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