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Coronavirus, com’è andato lo smart working per i dipendenti della PA

Smart Working PA

9 su 10 dipendenti della PA stanno lavorando in modalità smart working e proseguirebbero. Ecco i dettagli dell’indagine di Fpa

Divenuto obbligatorio a partire da febbraio 2020 con le Direttive per il contenimento dell’emergenza sanitaria, lo smart working è stato una novità assoluta per oltre 1/3 delle amministrazioni pubbliche italiane. Come emerge da un’indagine di FPA (società del gruppo Digital360) il 92,3% dei dipendenti della PA intervistati sta lavorando in modalità “smart” e per l’87,7% di loro si tratta di un’esperienza completamente nuova, per cui hanno dovuto utilizzare in maggioranza PC, cellulari e connessioni internet personali, spesso condividendo lo spazio in cui lavorano con altri membri della famiglia, e senza ricevere una formazione specifica sul lavoro da remoto.

SMART WORKING GIUDICATO POSITIVO NELLA PA

Eppure, il bilancio dello smart working “forzato” nella PA è positivo: l’88% dei dipendenti giudica l’esperienza di successo e il 61,1% ritiene che questa nuova cultura, basata sulla flessibilità e sulla cooperazione all’interno degli enti, fra gli enti e nei rapporti con i cittadini e le imprese, prevarrà anche una volta finita la fase di emergenza.

Lo smart working ha permesso al 69,5% del personale della PA di “organizzare e programmare meglio il proprio lavoro”, al 45,7% di “avere più tempo per sé e per la propria famiglia”, al 34,9% di “lavorare in un clima di maggior fiducia e responsabilizzazione”. In 7 casi su 10 è stata assicurata totale continuità al lavoro, per il 41,3% dei lavoratori l’efficacia è persino migliorata (per un altro 40,9% è rimasta analoga). Per oltre il 50% la relazione con i colleghi è invariata, per il 20% addirittura migliorata. E se — come ha sottolineato la Ministra della PA Fabiana Dadone — una volta tornati alla normalità almeno il 40% dei dipendenti pubblici dovrà adottare una modalità di lavoro agile, questi si dicono pronti: il 93,6% vorrebbe continuare a lavorare in smart working. Ma per la maggior parte (il 66%) il lavoro da casa deve essere integrato con dei rientri in ufficio organizzati e funzionali.

L’INDAGINE DI FPA

L’indagine, intitolata “Strategie individuali e organizzative di risposta all’emergenza”, è stata condotta da FPA tra il 17 aprile e il 15 maggio 2020. Hanno partecipato in totale oltre 5.200 persone, di cui l’81% (4.262) dipendenti della pubblica amministrazione. La ricerca rappresenta un’anteprima di “FORUM PA 2020 – Resilienza digitale”, la manifestazione tutta in digitale con cui FPA, dal 6 all’11 luglio, manderà in streaming una settimana di eventi (tavole rotonde, interviste, seminari, academy formative) sui temi dell’innovazione per la resilienza alla crisi.

IL BOOM DELLO SMART WORKING

A inizio 2020, prima dell’emergenza Covid19 solo nel 8,6% delle pubbliche amministrazioni di provenienza degli intervistati lo smart working era una modalità di lavoro diffusa, mentre nel 45,8% era attiva una sperimentazione limitata a un gruppo di dipendenti; per il 39,2% dei dipendenti non era possibile lavorare in Smart Working nella loro organizzazione. Per effetto delle misure per il contenimento dei contagi, lo smart working “d’emergenza” è stato introdotto nel 98,8% delle amministrazioni degli intervistati, in alcuni casi come unica misura per la gestione del personale, nel 41% dei casi accompagnato dalla presenza in ufficio a turni e nel 40,5% dalla richiesta di utilizzare ferie e riposi arretrati.

L’ORGANIZZAZIONE NELLE PA

Il 92,3% degli oltre 4200 dipendenti pubblici oggetto dell’indagine di FPA sta lavorando in smart working. Il 73,5% di questi lavora da casa per tutto l’orario di lavoro, il 18,8% compie alcuni rientri in ufficio o sospensioni del lavoro con giorni di ferie, recuperi o congedi. Gli esclusi dallo smart working sono appena il 4,7% (il 2% per scelta personale, l’1,2% perché in settori essenziali o servizi indifferibili, un altro 1,2% perché lavora in enti che non l’hanno attivato).

Se in questi anni uno degli ostacoli alla diffusione dello smart working è stata l’inadeguatezza delle dotazioni tecnologiche la soluzione è venuta dalle persone: il 68,2% del personale ha utilizzato il proprio PC, il 77,1% il proprio telefono cellulare, il 95% la connessione internet domestica, anche se il 68,3% non ha ricevuto formazione specifica sul lavoro da remoto. I limiti tecnologici in realtà si sono rivelati un ostacolo piuttosto limitato (per il 21,8% un problema è stata la qualità della connessione e per il 19,3% le attrezzature non appropriate). Gli aspetti più problematici sono relazionali: la difficoltà a mantenere delle relazioni sociali con i colleghi (35,9%), fare i conti con una sensazione di isolamento lavorativo (27,9%), conciliare le esigenze familiari con quelle lavorative (22,3%).

IL BILANCIO

Nonostante l’introduzione così rapida, il bilancio dell’esperienza di smart working è indubbiamente positivo: per l’88% dei dipendenti pubblici l’esperienza sarà preziosa una volta tornati alla normalità. Tra gli aspetti più positivi, per il 69,5% c’è la possibilità di organizzare e programmare meglio il lavoro, per il 45,7% l’avere più tempo per sé e per la propria famiglia, per il 34,9% lavorare in un clima di maggior fiducia e responsabilizzazione, per il 24% un modo di lavorare più stimolante. Per il 52,7% degli intervistati i rapporti con colleghi e superiori sono rimasti analoghi, sono peggiorati nel 27,3% dei casi, addirittura migliorati per un altro 20%. Lavorare da casa non ha significato smettere di lavorare né lavorare male: il 73,8% di chi lo ha fatto in questo periodo è riuscito a svolgere tutte le attività in remoto. Per il 41,3% dei dipendenti PA, l’efficacia lavorativa è migliorata e per un altro 40,9% è rimasta analoga.

Il fatto che lavorare da casa non abbia determinato discontinuità lavorativa, perdita di produttività o impossibilità di collaborare acquisisce ancora più valore se si pensa che per 3 dipendenti su 10 non è stato possibile ricavarsi una stanza per lavorare, ma nel migliore dei casi (il 22,1%) è stato necessario condividerla con altri membri della famiglia, per altri (10,9%) lavorare nello stesso spazio in cui la famiglia fa altro (guarda la TV, gioca, ecc.). Per la maggior parte dei lavoratori la maggior flessibilità oraria si è tradotta in un incremento del tempo di lavoro (34,3%). Ma c’è anche un buon 26,8% a cui le cui amministrazioni hanno richiesto lo stesso orario di lavoro “da cartellino”.

9 DIPENDENTI SU 10 PROSEGUIREBBERO A LAVORARE IN SMART WORKING

Il 93,6% dei dipendenti pubblici vorrebbe continuare a lavorare in smart working se gli venisse offerta la possibilità una volta tornati alla normalità. Per la maggior parte di questi (il 66%) il lavoro da casa non deve essere full time, ma integrato con dei rientri in ufficio organizzati e funzionali. Sulla base di questo periodo di sperimentazione “forzata”, i consigli dei dipendenti per uno smart working a regime nella PA sono di ripensare i processi di lavoro (57%), definire puntualmente obiettivi e risultati individuali (36,6%) fare formazione specifica sull’uso delle tecnologie e degli strumenti di comunicazione (31,6%) e introdurre maggiore fiducia da parte dell’azienda/ente e dei suoi vertici (22,9%). Ma i lavoratori pubblici sono ottimisti: secondo il 61,1%, la nuova cultura basata sulla flessibilità e sulla cooperazione all’interno degli enti, fra gli enti e nei rapporti con i cittadini e le imprese prevarrà una volta finita la fase di emergenza.

 

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