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Che cosa si mormora nei giornali sulla Manovra gialloverde. Il caso del Foglio

Israele

I Graffi di Damato

Ai margini, ma non troppo, delle lunghissime manovre sulla Manovra finanziaria – scusate il bisticcio di parole – che il governo gialloverde sta modificando per cercare di sottrarsi alla procedura europea d’infrazione, si sta consumando il dramma di alcuni giornali. Che per quanto di limitata, anzi limitatissima diffusione, sono riusciti con la loro storia, fantasia, cultura e quant’altro a conquistarsi un’eco, e forse anche un peso, ben superiore alle copie che mandano nelle edicole, o emettono per connessione. Ne cito due fra tutti: il manifesto, rigorosamente al minuscolo come la sovratestatina in rosso con cui rivendica orgogliosamente di essere sempre un quotidiano comunista, e Il Foglio.

LA STAMPA CHE RISCHIA

Essi, al pari di Radioradicale, tutta una parola, rischiano la chiusura per un codicillo, diciamo così, della manovra, voluto soprattutto dai grillini e subìto dai leghisti. Esso ne riduce progressivamente ma consistentemente il finanziamento pubblico, di cui godono da tempo sotto varia forma in nome della difesa del pluralismo e altre apprezzabili cose.

I grillini, convinti -come ha detto il sottosegretario all’editoria Vito Crimi partecipando di recente alla festa dei cento anni della stampa parlamentare- che quando la stampa “fa politica” deve aggiungerne i rischi a quelli del mercato, hanno resistito anche ai ripetuti appelli, espliciti o allusivi, del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a desistere dai loro propositi. Il capo dello Stato ha, fra l’altro, rivelato ad una scolaresca che lui la mattina nella lettura dei giornali dà la precedenza a quelli che lo criticano, giusto per fare allenamento di democrazia, e anche di intelligenza.

IL CASO DEL FOGLIO

Al Foglio, nato all’alba del berlusconismo grazie ai soldi della famiglia dello stesso Berlusconi, poi passato ad un altro editore portandogli in dote come cooperativa un insufficiente ma comunque sostanzioso finanziamento pubblico, procuratosi ai primi tempi come quotidiano di un partito che era stato creato apposta da una coppia di parlamentari amici ed estimatori, hanno reagito al rischio incombente di chiusura come solo loro sanno fare nei giorni migliori, bisogna riconoscerlo: con astuzia e cultura. Che è la miscela adoperata dal fondatore Giuliano Ferrara- chi non lo conosce ormai?- in un necrologio sotto forma di editoriale, o viceversa, per la scomparsa ormai anche digitale di un settimanale americano coetaneo e sotto molti aspetti anche politicamente affine: il conservatore Wekly Standard, anti-Trump.

Giulianone, come io lo chiamo affettuosamente da sempre, anche se abbiamo smesso da qualche tempo di frequentarci, sospetta forse che il suo nuovo editore, Valter Mainetti, già espressosi sullo stesso Foglio criticamente sulla sua linea di forte opposizione al governo e alla maggioranza gialloverde, colga l’occasione dell’assottigliamento progressivo della quota di finanziamento pubblico per ritirarsi dall’avventura e magari anche chiudere il giornale. Previsioni di questo tipo, d’altronde, sono state infelicemente formulate di recente da Rocco Casalino, portavoce del presidente del Consiglio. E così, parlando – diciamo così – a nuora perché suocera intenda, il fondatore del Foglio ha voluto riportare il commento alla chiusura del settimanale americano raccolto presso l’ex collaboratore e suo amico David Brooks, ora editorialista del New York Times.

UN PO’ COME TRUMP

Più che con Trump e con lo zampino vendicativo che l’intemperante presidente degli Stati Uniti ha messo nella chiusura di Wekley Standard, il collega e amico di Ferrara se l’è presa con l’editore scrivendo così: “Questo succede quando capitali aziendali si impossessano di un giornale d’opinione, cercano di abbassarlo al loro livello e poi si arrabbiano e si risentono quando la gente che ci lavora cerca di mantenere una misura accettabile di qualità intellettuale. E’ quello che accade quando gente con un assetto mentale populista decide che un’opinione ignorante ha lo stesso valore di un’opinione istruita, che l’ignoranza vende meglio della mente educata”.

 

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