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Perché le imprese non trovano tecnici specializzati?

Tecnici Specializzati

L’allarme dell’Ufficio Studi della CGIA: “Mancano tecnici specializzati, circa 400mila posizioni lavorative inevase”

Il lavoro c’è, non si trovano i lavoratori. Sembra essersi invertita l’equazione storica sulla disoccupazione italiana. Anche perché, una volta tanto, non si tratta di occupazioni degradanti e faticose: le figure ricercate sono altamente specializzate. Molte Pmi, in particolar modo del Nord, denuncia la CGIA di Mestre, sono tornate a denunciare la difficoltà di reperire figure professionali con elevati livelli di specializzazione.

“Una problematica – spiegano gli analisti – ascrivibile alla difficoltà di far incrociare la domanda con l’offerta di lavoro, anche perché continua a rimanere del tutto insufficiente il livello delle conoscenze e delle competenze tecniche dei nostri giovani. E nei prossimi anni, con l’avvento della cosiddetta “rivoluzione digitale”, queste criticità rischiano di assumere dimensioni ancor più preoccupanti. Segnaliamo, infatti, che anche gli ultimi dati presentati dall’Unioncamere , evidenziano che del milione e 280mila nuove assunzioni previste dalle imprese italiane tra luglio e settembre di quest’anno, quasi il 31 per cento sarà difficilmente reperibile”.

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Dito puntato sulla dispersione scolastica, che in Italia è otto volte superiore ai cosiddetti “cervelli in fuga”. Nel 2020, infatti, sono stati 543mila gli studenti che hanno abbandonato prematuramente la scuola. Un numero molto elevato se confrontato con i 68mila giovani con un titolo di studio medio-alto che, invece, si sono trasferiti all’estero per ragioni di lavoro. Due problematiche estremamente delicate che, purtroppo, continuano ad avere livelli di attenzione molto diversi da parte dell’opinione pubblica. Se l’abbandono scolastico non è ancora avvertito come una piaga educativa con un costo sociale importante, la “fuga” all’estero di tanti giovani diplomati o laureati lo è, sebbene il numero della prima criticità sia molto superiore a quello della seconda.

Nel 2020 l’Italia si è collocata al terzo posto tra i 19 paesi dell’Area Euro per abbandono scolastico tra i giovani in età compresa tra 18 e 24 anni. Solo Malta (16,7 per cento) e Spagna (16 per cento) presentano dei risultati peggiori ai nostri. La media dell’Area Euro si attesta al 10,2 per cento (quasi 3 punti in meno che da noi). Tra il 2010 e il 2020 la contrazione del fenomeno in Italia è stata di 5,5 punti percentuali, pressoché in linea con la media UE (-5,2 punti percentuali).

A livello territoriale sono le regioni del Sud a registrare i livelli più elevati di dispersione scolastica. Nel 2020, ad esempio, in Sicilia il 19,4 per cento dei giovani ha lasciato la scuola prima del conseguimento del titolo di studio di secondo grado (diploma professionale, diploma di maturità, etc.). Seguono la Campania con il 17,3 per cento e la Calabria con il 16,6 per cento. Preoccupa la situazione di quest’ultima regione che rispetto a tutte le altre è l’unica in controtendenza rispetto al dato relativo al 2010: l’abbandono scolastico in questi ultimi 10 anni, infatti, è aumentato di 0,6 punti percentuali. Abruzzo (8 per cento), Friuli Venezia Giulia (8,5 per cento), Molise (8,6 per cento) e Emilia Romagna (9,3 per cento) sono le regioni più virtuose. Nel complesso è il Nordest l’area che soffre meno di questo fenomeno sia per l’incidenza percentuale di abbandono (9,9 per cento) che per il più basso numero in termini assoluti di “uscite” premature dal mondo della scuola (-77mila).

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