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Siccità | Acquedotti malconci e una selva di gestori. Perché la rete idrica fa acqua da tutte le parti

Siccità Acquedotti Emergenza Idrica

Tra i 14 capoluoghi di città metropolitana, Milano col 14,3% di perdite totali di rete, è il comune più virtuoso, ma in molti casi la percentuale sfiora il 50%. Il proliferare di enti e gestori non ha risolto il problema di una rete di acquedotti che non ce la fa più: i dati, secondo l’Istat, sono persino in peggioramento

 Negli ultimi giorni l’Italia, dopo l’allarme per l’aumento dei prezzi dell’energia, i rincari generalizzati che ne conseguono e le tribolazioni che giungono dall’Est, deve vedersela anche con il problema della siccità, che porterà a nuovi aumenti quando si fa la spesa (ci sarà meno frutta e meno verdura in giro) e anche a razionalizzazioni nell’uso dell’acqua, con tanti comuni che hanno iniziato a doverla prelevare con le autobotti. Ma il vero tema è che il nostro Paese arriva ad affrontare questa calda estate 2022 impreparato, senza invasi, con infrastrutture vecchie e malconce e priva di una progettualità degna di nota. Sono davvero marginali le risorse che il PNRR destina agli acquedotti, così come sono poca roba i 313 milioni di euro del programma React Eu messi a disposizione dal Ministro per il Sud e la Coesione territoriale e gestite dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili per ridurre la dispersione di acqua nel Mezzogiorno, rendere più efficienti le reti idriche di distribuzione nei territori delle Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia e colmare il divario territoriale in un settore di vitale importanza per i cittadini.

QUANTI SONO I GESTORI?

Secondo gli ultimi dati dell’Istat riferiti al 2018, i gestori che operano in Italia nel campo dei servizi idrici per uso civile quattro anni fa erano 2.552; nell’83,0% dei casi si tratta di gestori in economia (2.119), ovvero enti locali, e nel restante 17,0% di gestori specializzati (433). Rispetto al 2015, il numero dei gestori si è ridotto di 305 unità, confermando il trend in calo a cui si assiste dal 1994, anno della riforma che ha dato l’avvio al servizio idrico integrato e che, nel periodo 2015-2018, ha interessato in particolar modo alcuni territori, tra cui le province di Varese, Imperia e Rieti.

Sebbene il numero di gestori attivi nel settore si sia molto ridotto (7.826 nel 1999), persiste una spiccata parcellizzazione gestionale, localizzata in alcune aree del territorio dove la riforma non è ancora stata completamente attuata, come in Calabria, Campania, Molise, Sicilia, Valle d’Aosta e nelle province autonome di Bolzano e Trento. In particolare, l’approvvigionamento di acqua per uso potabile è gestito da 1.714 enti, l’80,2% dei quali opera in economia (1.374). Rispetto al 2015 il numero di gestori operativi in questo settore si è ridotto di 163 unità. Nella maggior parte dei casi (96,1%) l’ente gestisce l’intero flusso delle acque potabili, dal prelievo alla distribuzione agli utenti finali. Ci sono inoltre enti che si occupano unicamente del prelievo di acqua che viene poi ceduta ai gestori della distribuzione: da un lato si tratta di grandi gestori di sovraambito e grossisti di acqua per uso potabile e, dall’altro, di piccoli consorzi, imprese e associazioni, attivi in alcune aree del territorio, soprattutto nella provincia autonoma di Bolzano e in Sicilia. Le reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile sono gestite da 2.088 enti.

Nell’85,1% dei casi si tratta di gestori in economia (1.777) e nel restante 14,9% di gestori specializzati (311). Rispetto al 2015 c’è stata un’importante riduzione del numero degli enti (-218 unità) che ha riguardato quasi interamente le gestioni in economia. La fognatura comunale, gestita da 2.263 enti, è il servizio idrico con il più alto numero di gestori e in cui si ha la maggiore quota in economia (2.065, pari al 91,3%). Rispetto al 2015, si ha una riduzione degli enti di 287 unità. Al contrario, la depurazione delle acque reflue urbane è il servizio con il minor numero di enti gestori, 1.451 nel 2018, in diminuzione di 21 unità rispetto al 2015. Nell’83,0% dei casi sono gestori in economia (1.204) e nel restante 17,0% gestori specializzati (247).

GLI ACQUEDOTTI PERDONO TROPPA ACQUA

La parcellizzazione estrema dei gestori non aiuta. Soprattutto in emergenza. E a tutto questo si aggiunge l’annoso tema che i nostri acquedotti fanno letteralmente acqua da tutte le parti, perdendo una buona metà dell’oro blu trasportato prima che sfoci nel rubinetto. Nel 2018, il volume delle perdite idriche totali nella fase di distribuzione dell’acqua, calcolato come differenza tra i volumi immessi in rete e i volumi erogati, è pari a 3,4 miliardi di metri cubi.

Complessivamente si perde il 42,0% dell’acqua immessa in rete. Nello specifico, le perdite totali si compongono delle seguenti tipologie: una parte fisiologica, che incide inevitabilmente su tutte le infrastrutture idriche, che varia generalmente tra il 5% e il 10%; una parte fisica associata al volume di acqua che fuoriesce dal sistema di distribuzione a causa di vetustà degli impianti, corrosione, deterioramento o rottura delle tubazioni o giunti difettosi, componente prevalente soprattutto in alcune aree del territorio; una parte amministrativa, che determina anche una perdita economica per l’ente, legata a errori di misura dei contatori (volumi consegnati ma non misurati, a causa di contatori imprecisi o difettosi) e ad allacci abusivi (volumi utilizzati senza autorizzazione), stimata intorno al 3-5%.

La presenza di perdite è anche direttamente proporzionale al numero di allacci e all’estensione della rete. In riferimento all’acqua prelevata dalle fonti di approvvigionamento, le perdite idriche totali in distribuzione ne rappresentano una quota pari al 37,2%.

Rispetto al 2015 si registra un leggero incremento delle perdite totali percentuali di rete, pari a circa mezzo punto (erano il 41,4%), a conferma della grave inefficienza dell’infrastruttura idropotabile. Le perdite d’acqua in distribuzione rappresentano uno dei principali problemi per una gestione efficiente e sostenibile dei sistemi di approvvigionamento idrico, con ripercussioni ambientali (spreco di risorsa), energetiche (aumento dei consumi energetici per gli impianti di sollevamento), finanziarie (danni economici per l’ente gestore che non riscuote su tutta l’acqua distribuita), sociali (disagi per sospensione o riduzione negli apporti idrici e per difficoltà derivanti dai lavori stradali per riparazione).

Nonostante molti gestori del servizio idrico si siano impegnati negli ultimi anni in diverse attività per minimizzare le perdite e garantire una maggiore capacità di misurazione dei consumi (attraverso un più assiduo monitoraggio del parco contatori e l’installazione di misuratori dove assenti), in Italia la dispersione in rete continua a rappresentare un volume cospicuo, quantificabile in 156 litri al giorno per abitante. Stimando un consumo pro capite pari alla media nazionale, il volume di acqua disperso nel 2018 soddisferebbe le esigenze idriche di circa 44 milioni di persone per un intero anno. Le perdite di rete determinano una rischiosa pressione sulla disponibilità della risorsa idrica, già molto condizionata da periodi di scarsità idrica e da episodi di inquinamento sempre più diffusi e frequenti.

GLI ACQUEDOTTI PEGGIORI IN SICILIA E SARDEGNA

Sebbene le perdite abbiano un andamento territoriale molto variabile, l’infrastruttura di rete è meno efficiente nei distretti idrografici della fascia appenninica e insulare. I valori più alti si rilevano nei distretti Sardegna (51,2%) e Sicilia (50,5%), seguiti dai distretti Appennino centrale (48,4%) e Appennino meridionale (48,0%); quasi in linea con il dato nazionale il distretto Appennino settentrionale (42,1%). Nel distretto del fiume Po l’indicatore raggiunge, invece, il valore minimo, pari al 31,7% del volume immesso in rete; poco inferiore al dato nazionale anche il distretto Alpi orientali (40,3%). Una regione su due ha perdite idriche totali in distribuzione superiori al 45%. Le situazioni più critiche si concentrano soprattutto nelle regioni del Centro e del Mezzogiorno, con i valori più alti in Abruzzo (55,6%), Umbria (54,6%) e Lazio (53,1%). Tutte le regioni del Nord, ad eccezione del Friuli-Venezia Giulia (45,7%), hanno un livello di perdite inferiore a quello nazionale. In Valle d’Aosta si registra nel 2018 il valore minimo regionale di perdite idriche totali di rete (22,1%), seppur in aumento di circa quattro punti percentuali rispetto al 2015. In circa una regione su tre le perdite sono inferiori al 35%.

In 13 regioni su 21 e in 6 distretti idrografici su 7 aumentano le perdite idriche totali in distribuzione. Si va da incrementi minimi, come nel Lazio ed Emilia-Romagna, a incrementi piuttosto rilevanti, come in Liguria, Umbria e Abruzzo. Tra le regioni in cui l’indicatore diminuisce, le uniche a presentare una variazione significativa sono Friuli-Venezia Giulia, Basilicata e Sardegna, pur avendo livelli di perdite ancora molto alti e superiori al valore nazionale. In tutte le altre aree le variazioni sono piuttosto contenute e devono essere lette considerando la situazione di partenza. Le variazioni possono dipendere da: cambiamenti effettivi nella dotazione idrica, modifiche nei criteri di calcolo dei volumi consumati ma non misurati al contatore, maggiore diffusione degli strumenti di misura, che in molti casi evidenziano situazioni più difficili di quanto precedentemente stimato, situazioni contingenti (come nel caso dei comuni del Centro Italia interessati dagli eventi sismici del 2016), cambiamenti gestionali che modifichino il sistema di contabilizzazione dei volumi.

Più della metà dei comuni italiani (56,4%) in cui è presente il servizio ha perdite idriche totali in distribuzione uguali o superiori al 35% dei volumi immessi in rete. Perdite ingenti, pari ad almeno il 55%, interessano il 23,9% dei comuni (oltre la metà nell’area Centro-sud). Meno di un comune su quattro (24,3%) ha perdite inferiori al 25% (Fig. 9). Grande è la variabilità a livello territoriale. Il distretto del fiume Po si contraddistingue per la maggiore quota di comuni con perdite basse (28,6% con perdite inferiori al 25%) e per la minore con perdite molto alte (11,9% con perdite uguali o superiori al 55%). Una situazione infrastrutturale decisamente più difficile si registra nelle aree del Centro e del Mezzogiorno, che presentano ingenti criticità in circa un comune su due. In particolare, nei distretti Appennino centrale, Appennino meridionale e Sardegna si hanno perdite uguali o superiori al 45% in più della metà dei comuni. L’Appennino centrale detiene la quota più alta di comuni con perdite pari ad almeno il 55% (41,3%), in particolare in più della metà dei comuni di Abruzzo, Umbria e Lazio. Rispetto al dato nazionale, nei comuni con popolazione uguale o inferiore a 50mila abitanti le perdite sono maggiori, raggiungendo il 44,2%. Di contro, perdite inferiori si riscontrano nei comuni più grandi e sono pari al 37,8% nei comuni con più di 50mila abitanti e 37,1% nei comuni con più di 100mila abitanti. Nei 109 comuni capoluogo di provincia e città metropolitana, dove i gestori spesso concentrano maggiori investimenti e migliori monitoraggi, la situazione infrastrutturale è nel complesso leggermente migliore (37,3% di perdite in distribuzione, circa cinque punti percentuali meno del dato nazionale). I capoluoghi del Mezzogiorno hanno perdite in distribuzione pari a quasi il doppio di quelle dei capoluoghi del Nord e superiori di circa 10 punti percentuali rispetto alla media dei capoluoghi.

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