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Che cosa combina Bettini?

Bettini

Bettini divide il Pd con la sua terapia antirenziana e allarma Franceschini. I Graffi di Damato

Il capogruppo al Senato Andrea Marcucci, il più alto in grado dei renziani rimasti nel Pd dopo la scissione compiuta dall’ex presidente del Consiglio creando Italia Viva, è stato il più esplicito e duro, ma non il solo a rivoltarsi contro il “santone” Goffredo Bettini, consigliere del  segretario Nicola Zingaretti, per le sue incitazioni a spingere fuori dalla maggioranza di governo quel rompiscatole che è considerato Matteo Renzi. A sostituire il quale dovrebbero essere pezzi dell’opposizione di centrodestra promossi a “responsabili” della salvezza della legislatura di nuovo in pericolo di scioglimento anticipato delle Camere, sia pure differito di qualche mese. È infatti praticamente impossibile predisporre prima dell’autunno le condizioni di agibilità delle urne per rinnovare il Parlamento nella sua nuova dimensione, ridotta a 400 deputati e 200 senatori, salvo una clamorosa bocciatura referendaria della riforma il 29 marzo.

IL PROGETTO DEL NAZARENO

In verità, forse su sollecitazione dello stesso, imbarazzato Zingaretti, il “santone” Bettini ha cercato di correggersi precisando di pensare ai “responsabili” esterni come aggiuntivi e non sostitutivi dei renziani, dei quali al Senato basterebbero pochissimi dissidenti a far tornare i conti alla maggioranza giallorossa. Ma la pezza si è rivelata peggiore del buco perché ha confermato il progetto dei piani alti, o bassi, del Nazareno di lavorare ai fianchi di Renzi per sottrargli parlamentari, con la conseguente reazione dell’ex presidente del Consiglio di alzare il livello dello scontro e dell’agitazione, non foss’altro per non apparire intimidito. Egli peraltro è riuscito nelle ultime ore a ingrossare i suoi gruppi di altri due arrivi.

LA REAZIONE DI FRANCESCHINI

Oltre e più ancora di Marcucci, arrivato a definire “scandalosa” la strada trasformistica e contrattualistica tracciata da Bettini, risultano negative le reazioni, dietro le quinte, del ministro dei beni culturali e capo delegazione del Pd al governo Dario Franceschini. Che prima ancora dello stesso Renzi nell’estate scorsa, anche a costo di procurarsene il dileggio per un incidente elettorale occorsogli nella sua Ferrara a vantaggio dei leghisti, aveva proposto dalla primavera un’intesa di governo con i grillini in crescenti difficoltà di rapporti con Matteo Salvini.

Il fatto di averci personalmente e maggiormente messo la faccia nella svolta con le 5 Stelle, ben prima — ripeto — che a Renzi passasse la voglia di godersi la crisi della maggioranza gialloverde mangiando pop corn, ha fatto scattare in Franceschini il rifiuto di concorrere in qualche modo alla liquidazione della sua linea come di una banale, ennesima avventura dai quattro cantoni in un Paese peraltro “in apnea”, secondo l’editoriale di Repubblica.

D’altronde, anche dai grillini sono arrivate a Franceschini voci allarmate sui progetti targati Bettini. Se n’è fatto interprete il capogruppo al Senato Gianluca Perilli dichiarando al Foglio che mai e poi mai transfughi di Forza Italia potrebbero essere considerati parte effettiva della maggioranza, partecipi di riunioni, cariche e quant’altro.

Sono cresciute pertanto le resistenze di Franceschini alla gestione di una vicenda che ha già permesso rovinosamente al portavoce del presidente del Consiglio Rocco Casalino di giocare con “battute” al telefono sulla partenza di un nuovo treno di governo con lo stesso, insonne, instancabile conducente. E così sotto la cenere del Pd è ricomparsa la brace di una situazione per nulla tranquilla e scontata. Aumenta anche al suo interno la tentazione elettorale, perché — ha spiegato il tesoriere Luigi Zanda — “la maionese ormai è impazzita e non si può più mangiare”.

 

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