Il ministro Giuli cambia 4 direttori nei grandi Musei e lancia il bando internazionale per…
Che cosa può succedere fra Lega e M5S
I graffi di Damato sull’incidente della crisi che potrebbe scoppiare, indifferentemente, sulla questione della Tav e sulla conversione in legge del Ddl Sicurezza bis
Il veleno della crisi latente ormai da due mesi, dal ribaltamento dei rapporti di forza elettorale fra grillini e leghisti usciti dalle urne del 4 marzo dell’anno scorso, si è concentrato nella coda estiva dei lavori parlamentari prima delle ferie, tutta peraltro in programma al Senato. Dove i numeri del governo gialloverde sono sempre stati modesti, diciamo così, ma ancor di più sono diventati per le tensioni cresciute nel gruppo delle 5 stelle. Che tuttavia, a dispetto dei divertimenti di Luigi Di Maio in Costa Smeralda, muore quasi letteralmente della paura proprio di una crisi per l’altissimo rischio che sfoci in elezioni anticipate, con l’effetto ormai scontato di riportare il movimento nelle nuove Camere nelle dimensioni assai ridotte, praticamente dimezzate, certificate a fine maggio con le elezioni europee.
LE INTENZIONI DELLA LEGA
Le immagini di Matteo Salvini in costume da bagno sulle rive adriatiche prima con la fidanzata e poi col figlio, pallone in mano, non hanno rasserenato per nulla gli alleati di governo. Essi hanno forse visto, dopo gli ultimi segnali di un’accresciuta insofferenza del sottosegretario leghista a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti, quel pallone destinato ad essere lanciato proprio contro di loro.
Il progetto attribuito, per esempio da Marco Cremonesi sul Corriere della Sera, al numero due di Salvini, nel partito e nel governo, è di far saltare il governo entro una decina di giorni a Palazzo Madama su mine di marca curiosamente e masochisticamente grillina non per votare in ottobre ma a febbraio, con un altro governo, persino presieduto dallo stesso Giuseppe Conte. Che si assumerebbe insieme gli oneri della nuova legge ex finanziaria, e relativo bilancio, e della gestione delle elezioni.
Come si era già capito da un recente incontro avuto proprio con Giorgetti al Quirinale e poi da anticipazioni del Corriere firmate dall’editorialista Massimo Franco e dal quirinalista Marzio Breda, il presidente della Repubblica non ha nessuna intenzione di affidare alle garanzie -si dice così- del governo attuale, con Salvini peraltro alla guida del dicastero più importante e delicato come quello dell’Interno, il passaggio del ricorso anticipato alle urne.
CRISI ALLE PORTE TRA DDL SICUREZZA BIS
L’incidente della crisi potrebbe scoppiare, indifferentemente, sulla questione della Tav e sulla conversione in legge della seconda edizione del cosiddetto e controverso decreto sulla sicurezza, specie se quest’ultimo fosse appesantito da una questione di fiducia che impedirebbe ai volenterosi dell’ormai ex centrodestra parlamentare di supplire con adeguate assenze ai voti che alcuni senatori grillini non hanno voglia di accordare imitando ciò che hanno fatto 24 loro colleghi alla Camera. Dove i dissidenti hanno avuto la copertura plateale del compagno di partito e presidente dell’assemblea Roberto Fico, allontanatosi dall’aula non solo e non tanto per non partecipare, come da prassi vecchissima, al voto quanto per non proclamarne lo scontato esito positivo, a Montecitorio, per il provvedimento così fortemente voluto dal leader leghista.
E QUESTIONE TAV
Sulla questione della Tav, cioè dell’ormai deciso completamento del progetto ferroviario di trasporto delle merci ad alta velocità tra la Francia e l’Italia, i grillini rischiano di rimanere impiccati alla loro stessa corda orgogliosamente tesa con l’annuncio di una mozione contraria. Che salverebbe loro la faccia della coerenza, o delle origini, come preferiscono dire da quelle parti, ma gliela farebbero perdere definitivamente, sul piano politico ed elettorale, se non traessero con la crisi, appunto, cui non a caso sono stati sfidati dai leghisti, nel caso scontato della bocciatura della loro iniziativa. Essi francamente farebbero soltanto ridere se continuassero a dire che a trarne le conseguenze, sempre con la crisi, dovrebbero essere piuttosto i leghisti, favorevoli alla Tav già nel contratto di nascita del governo, per riscattarsi dalla “vergogna” di essersi ritrovati su questo problema con quel che resta del partito di Silvio Berlusconi, con i fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e col Pd di Matteo Renzi prima e di Nicola Zingaretti poi.