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Che cosa sta succedendo al governo con Bruxelles

I graffi di Damato

Lo spettacolo televisivo, più o meno in diretta, di quella parete rossa in cartongesso sollevata, piegata e infine sbriciolata dal braccio meccanico della ruspa allungato su una delle villette dei Casamonica in via di demolizione a Roma, con un’esibizione a dir poco sospetta di politici locali e nazionali in campagna elettorale permanente, deve avere ispirato il vignettista del Corriere della Sera nell’azzecatissima rappresentazione dello scontro appena consumatosi a Bruxelles. Dove la Commissione Europea, rappresentata fisicamente da un imponente Pierre Moscovici, ha ribocciato e avviato verso una procedura d’infrazione per debito eccessivo i conti italiani difesi da un lillipuziano Giovanni Tria, ministro dell’Economia, anzi superministro perché nelle sue competenze sono confluite da tempo quelle dei vecchi dicasteri del Tesoro, delle Finanze e del Bilancio.

MURO CONTRO MURO

Altro che il muro contro muro di cui mostrano di sentirsi protagonisti a Roma i due vice presidenti e insieme assistenti, controllori e quant’altro del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, cioè il grillino Luigi Di Maio e il leghista Matteo Salvini. Che gareggiano a trovare la battuta più sarcastica o sfidante per ostentare la loro sicurezza nel braccio di ferro cercato, tra feste su terrazzini e barconi, con l’Unione Europea.

Salvini ha forse pensato di avere surclassato il suo concorrente Di Maio giocando col calendario delle feste di fine anno, che già si avvertono con gli addobbi stradali e le vetrine luminose dei negozi. Egli ha declassato a lettere, anzi letterine, di Babbo Natale quelle già arrivate e quelle ancora in arrivo da Bruxelles a Roma. E forse sta scambiando per coriandoli i titoli di Stato che non riusciamo più a piazzare del tutto nelle aste, o quelli che, svalutati dalle incursioni dello spread, stanno diventando zavorra per le banche che le hanno nel proprio patrimonio.

Altro che muro contro muro, ripeto con Emilio Giannelli. Qui siamo al muro contro il cartongesso di Tria, e dei Casamonica. E già immagino il presidente della Repubblica a ricordare in crescente sofferenza, con la preghiera quotidiana del padre nostro appena aggiornata dai Padri di Santa Romana Chiesa in tema di tentazione, o dando un’occhiata alla felice prima pagina del Manifesto, l’obbligo che abbiamo di pagare i nostri debiti per poterne decentemente chiedere altri, da investire per giunta più in assistenza, o beneficenza, che in produzione e posti di lavoro.

Sbaglierò, ma martedì 20 novembre Sergio Mattarella mi è sembrato più ingobbito del solito nel percorrere, col seguito dei collaboratori e dei padroni di casa, tra file di commessi in alta uniforme, una parte del vecchio “transatlantico” della Camera per entrare nell’aula di Montecitorio e festeggiarne il primo centenario, accanto al presidente emerito della Repubblica, e suo diretto predecessore, Giorgio Napolitano. Il quale, dal caso suo, non sarà certo pentito di avere interrotto il secondo mandato presidenziale di sette anni conferitogli dal Parlamento nel 2013. Si è risparmiato un bel po’ di gatte da pelare, diciamo così.

 

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