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Che cosa succede fra M5S e Pd?

Pd M5s

I Graffi di Damato sul futuro del governo M5S-Pd e il ricordo di quando Beppe Grillo tentò di infilarsi nel partito creato da Veltroni prima di fondare il movimento pentastellato

Sarebbe veramente il colmo del paradosso, anche per un comico professionale come lui, se Beppe Grillo dovesse riuscire a realizzare il disegno attribuitogli da retroscenisti e quant’altri osservandolo al raduno napoletano per il decennale del suo movimento: mangiarsi il Pd appena adottato come alleato di governo forzando anche a parolacce le resistenze di Luigi Di Maio, il capo ancora dei pentastellati, e persino di Davide Casaleggio.

Salvatosi per un’autorete di Matteo Salvini dal rischio di essere divorato lui dalla Lega, che in meno di un anno ne aveva quasi dimezzato a proprio vantaggio, nelle urne europee del 24 maggio scorso, la fortunosa e clamorosa consistenza elettorale del 4 marzo 2018, quel diavolo di un Grillo è riuscito a infilare come in una trappola un partito — il Pd appunto — nel quale dieci anni fa, qualche mese prima di creare il M5S aveva cercato furbescamente di infilarsi come un topo nel formaggio.

QUANDO GRILLO GUARDAVA AL PD PRIMA DEL M5S

Era luglio del 2007. Il Pd creato al Lingotto da Walter Veltroni fondendo i resti del Pci, della sinistra democristiana e cespugli vari non aveva ancora compiuto due anni e aveva già liquidato il suo primo segretario, sostituito temporaneamente dal vice Dario Franceschini. Si, è proprio lui, l’attuale ministro dei beni culturali e capo della delegazione piddina nel secondo governo di Giuseppe Conte, o Bisconte. È proprio lui: quello che, prima ancora della svolta di Matteo Renzi già in procinto peraltro di andarsene dal partito, aveva proposto nel Pd di offrirsi a Grillo per sostituire la Lega e il suo truce capitano.

In Sardegna per vacanza, il comico prese  di mira in quell’estate di dieci anni fa la prima sezione del Pd a portata di piede o di macchina, quella di Arzachena, nel cui territorio egli ha una delle sue case da diporto, per iscriversi. Pagò in contanti 16 euro, di cui 15 per la prenotazione della tessera e uno di mancia al cassiere, o qualcuno del genere. Che, magari, era convinto di avere procurato al Pd l’affare del secolo, senza sapere che il comico aveva intenzione con quella mossa di terremotare il già sconquassato partito candidandosi alle primarie per la successione a Franceschini. Il quale, informato del progetto dallo stesso Grillo a mezzo stampa, ovviamente non gradì. Ancor meno gradì Pier Luigi Bersani, deciso a subentrargli, come poi avvenne, per rimettere a posto a suo modo “la ditta”, come il simpatico emiliano chiamava il partito dai tempi del Pci.

Il 14 luglio, mentre a Parigi si festeggiava la presa della Bastiglia e la rivoluzione incorporata del 1789, a Roma più modestamente Franceschini e Bersani mettevano il partito al riparo dall’assalto del comico  facendo respingere la domanda di iscrizione di Grillo, trattato come un intruso fra le proteste e il rammarico di un altro intruso ma almeno alleato del Pd all’opposizione del governo di centrodestra di Silvio Berlusconi: l’ancora fascinoso ex protagonista della stagione giudiziaria di Mani Pulite, Antonio Di Pietro.

LA VENDETTA NEL 2013

Respinto non so francamente se più con incauta tempestività o con felice intuizione dai signori del Nazareno, Grillo si vendicò a suo modo mettendosi in proprio, mandando tutti i partiti a quel posto in una piazza di Bologna, umiliando col proprio Movimento 5 Stelle nel 2013 il Pd di Bersani, che gli chiese inutilmente aiuto per la formazione di un governo “di minoranza e combattimento”, e battendo clamorosamente cinque anni dopo il Pd dell’”ebetino” Renzi, cui nel frattempo aveva già fatto perdere il referendum sulla riforma costituzionale.

Se adesso, ripeto, imbarcatolo nel governo del Bisconte in consistenza parlamentare per giunta ridotta rispetto a un anno fa, vista la sopraggiunta scissione renziana, Grillo riuscisse a divorare il Pd senza neppure prendersi il gusto di vomitarlo, come ogni tanto vorrebbe fare con i giornalisti, sarebbe uno spettacolo ancora più paradossale di quelli che lui fa in teatro. Ma altrettanto sarebbe lo spettacolo inverso, cioè quello del Pd che, per quanto malmesso, come al solito, riuscisse a dissanguare elettoralmente il M5S, già in sofferenza per le sue tensioni interne, e infine lo divorasse.

 

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