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Chi è (e cosa farà) Giampaolo Rossi

Giampaolo Rossi

Il gladiatore dell’imperatore” Meloni nel “Colosseo” Rai

Dal 15 maggio scorso è stato nominato direttore generale della Rai dal nuovo ad Roberto Sergio. Tra un anno, allo scadere del mandato dell’attuale cda, impugnerà lo “scettro” di Viale Mazzini. Ma in realtà al settimo piano già ora non si muove foglia che Giampaolo Rossi non voglia.

Riportano a lui 23 dirigenti di primo livello della Corporate: dalle risorse artistiche a quelle umane; dagli acquisti agli affari legali; dalla finanza alle infrastrutture. E non c’è dubbio che la sua voce, nel riesumato Comitato Editoriale (ne fanno parte tutti i direttori di genere) non passerà inosservata.

CHI E’ GIAMPAOLO ROSSI

Romano, classe 66, Rossi è di fatto la “bussola” del premier Giorgia Meloni al settimo piano. Proprio in quota Fratelli d’Italia ha già vissuto un mandato nel cda Rai (indicato nel 2018 con 166 voti dal Parlamento). Ma i cancelli di Viale Mazzini li aveva già varcati per volere di Gianfranco Fini nel 2004 per diventare – nella Rai di Flavio Cattaneo – presidente di RaiNet. Ruolo che ha ricoperto fino al 2012. Cattolico (ha studiato all’istituto salesiano Villa Sora di Frascati), marinettiano, una laurea in Lettere (con lode a La Sapienza) appesa nello studio.

Ha una formazione storico-umanistica, indiscutibilmente esperto di media, è direttore del Master in Media Entertainment presso la Link Campus University. Chi lo conosce lo definisce un filosofo, un gentleman, un vero intellettuale della destra dura e pura. Attenzione però: barba, pipa, occhiali scuri; Rossi è gentile ma determinato. E non chiamatelo fascista… A proposito di fascismo lui non ha dubbi: “L’antifascismo non ha più senso, è una caricatura”.

COSA FARA’ IN RAI

Rossi, dunque, è (e sarà) il Massimo Decimo Meridio dell’“imperatore” Meloni nel “Colosseo” Rai. Il gladiatore gode di massima stima e fiducia. E non fa certo mistero del suo obiettivo: “La Rai esiste perché deve rappresentare la complessa pluralità della nostra Nazione”. Deve essere “lo specchio del Paese, capace di rappresentare tutte le anime culturali che lo compongono. Questa è la sua inestimabile ricchezza e per questa io lavoro”. Insomma, l’inno alla pluralità delle narrazioni. Ma chi con i cartelli in mano invoca una politica fuori dai cancelli Rai rimarrà deluso. “Che i partiti indichino professionisti validi ai vertici dell’azienda – è il Rossi pensiero – è una garanzia non un pericolo”.

Ma intanto la prima cosa è stata rimettere un po’ di ordine con una bella “lenzuolata” di nomine. Sì, perché secondo Rossi “c’è un pezzo della sinistra che concepisce la Rai come proprietà privata”. Bisogna invece “abbattere ogni pretesa egemonica e fare respirare la cultura di questa nazione”. “Siamo dominati da una élite autoreferenziale che mette fuori sincrono la realtà”. E si parte proprio dai telegiornali che a Rossi piacciono numerosi, altro che newsroom unica sul modello BBC. Il tutto per “governare, non occupare”. “L’idea che chi vince debba occupare la Rai è stupida ed arrogante”.

LA DIARCHIA SERGIO-ROSSI

Ma quali saranno le prime mosse della nuova “diarchia” Sergio-Rossi? Intanto, ora che l’Europa tirerà il canone Rai fuori dalla bolletta elettrica, mettere in sicurezza i conti. Come? Tramite il ricorso alla fiscalità generale, “non certo alla pubblicità”. Poi rimettere un po’ d’ordine nei palinsesti. Fabio Fazio, ad esempio, è uno di quelli – andava ripetendo Rossi – che sotto il cappello dell’intrattenimento ci infila le interviste ai politici senza il controllo editoriale delle Testate giornalistiche e l’obbligo del pluralismo. Senza contare il fiume di ospiti della sinistra e “un contratto troppo oneroso”. Facile capire perché la cartellina di “Che tempo che fa” sia rimasta a prendere polvere per mesi sulla scrivania di Carlo Fuortes…

Ma qualcosa, secondo Rossi, bisognerà fare anche per il festival. Non fa mistero che vorrebbe “riportare nelle mani di un manager Rai la direzione artistica di Sanremo”. Un messaggio forte e chiaro per Amadeus (e Lucio Presta). Poi c’è la questione del piano industriale: quello attuale lui lo ha preparato con Fabrizio Salini e i generi, al contrario di quanto qualcuno va sussurrando per i corridoi, non si toccheranno, anzi. Semmai qualche cambiamento ci sarà con l’accorpamento di cinema, fiction, documentari in “un unico polo dell’audiovisivo nazionale”. Una Rai capace di sformare nuovi autori, capace di produrre anche format oltre che fiction e soprattutto – è l’auspicio di Rossi – “capace di lanciare la sua sfida alle stelle”.

 

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