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Chi sono i fedelissimi di Salvini (che se ne infischia – per ora – delle critiche)

salvini

Si fanno sempre più insistenti le critiche interne nei confronti di Salvini, che però può contare su una leadership difficile da contendere nella Lega

Non è certo un bel periodo per Matteo Salvini. Tanti i fronti politici aperti e le preoccupazioni del leader del Carroccio, che sa di doversi guardare non solo dal fuoco nemico ma soprattutto dal fuoco interno (nella Lega) e dal fuoco alleato (di Fratelli d’Italia).

Come scrive il Corriere della Sera “ci sono i fondatori del Carroccio, come Roberto Castelli e Giuseppe Leoni, che accusano Salvini di alto tradimento degli ideali; ci sono i lighisti veneti che rivendicano spazi nella leadership e pretendono garanzie per Zaia. E c’è chi gli rimprovera, ma non apertamente, scelte discutibili come difendere il generale Roberto Vannacci o recarsi in visita al padre della sua compagna, Denis Verdini, nel carcere di Firenze”. C’è anche la nostalgia all’ortodossia della Lega Nord, rivendicata recentemente – senza maschere – dai governatori Luca Zaia e Attilio Fontana.

REPUBBLICA DA’ VOCE AI MALUMORI DEL VENETO LEGHISTA NEI CONFRONTI DI SALVINI

A mettere maggiormente il dito nella piaga, provando a dare enfasi ai mal di pancia interni alla Lega, sono soprattutto i giornali del gruppo Gedi. Repubblica da giorni dà risalto alle crepe locali, mandando addirittura un inviato nel Veneto leghista per raccoglere gli umori della base e degli amministratori locali, quel Veneto che “dà lo sfratto a Salvini. «O va via con le buone – è il titolo – o lo cacciamo noi»”.

Ecco alcuni passaggi dell’articolo a firma di Giampaolo Visetti: “«Terzo mandato per Zaia? Di rigore, ma non è più la priorità: la prima cosa adesso è cacciare Matteo Salvini, che sta trascinando la Lega nel baratro». Nei bar, fuori dai capannoni e nei piccoli Comuni del Veneto profondo, si materializza la rivolta contro il leader, ridotto sotto il 4% dal voto in Sardegna. Il Carroccio qui non mugugna più, come dopo il sorpasso shock da parte di FdI alle politiche. Il popolo venetista con il mito dei Serenissimi, per la prima volta, alza il tiro e anche la voce”.

“O SALVINI SE NE VA CON LE BUONE O LO CACCIAMO CON LE CATTIVE”

Secondo Repubblica “dopo il tonfo di Cagliari, però, anche lo zoccolo duro si è rotto: la base è infuriata e le Europee di giugno diventano un incubo per gli stessi sindaci. (..) Ad aprire il fuoco l’assessore Roberto Marcato, che al vicepremier ha voluto dire che «dopo Zaia in Veneto c’è Zaia, punto». Messaggio: se non passa il terzo mandato vai a casa anche tu. (…) A dichiarare ufficialmente aperto il processo è però il parlamentare europeo Gianantonio Da Re, ex sindaco di Vittorio Veneto e leader dell’ortodossia leghista. «Il 9 giugno – dice – assisteremo a un disastro annunciato. Un sondaggio interno dà la Lega al 5,5%. Il giorno dopo Salvini si deve dimettere. O il cretino se ne va con le buone, o andiamo tutti a Milano in Via Bellerio e lo cacciamo con le cattive. Ormai la pensiamo tutti così, a partire da 80 parlamentari che aspettano solo i numeri del voto per muoversi”.

CON CHI STANNO I PARLAMENTARI DELLA LEGA?

Ma è davvero così? I dirigenti e i parlamentari sono davvero in procinto di voltare le spalle al proprio leader? In merito è interessante leggere cosa scrive oggi il Foglio: “Il vicepremier sa che, undici anni dopo essersi preso il partito, l’ha trasformato a tal punto da non contemplare neppure una mini ma contendibilità (…) Al ministro delle Infrastrutture – sottolinea il giornalista Luca Roberto va dato il merito di aver saputo costruire per tempo un’articolata meccanica difensiva. Che lo salvaguarda dai tentativi di Opa più o meno ostili”.

CON LE POLITICHE 2022 ELETTI SOLO SALVINIANI DI FERRO

“Lo spartiacque decisivo – si legge sempre sul Foglio – furono le elezioni politiche del 2022: in quell’occasione Salvini riuscì a liberarsi anche degli ultimi residuati di giorgettismo, vicini a un’idea di Lega più bossiana, federalista. I vari Roberto Volpi, Matteo Luigi Bianchi e Paolo Grimoldi non vennero ricandidati. Così adesso tra i vari ministeri e nei due rami del Parlamento siedono (quasi) solo salviniani di ferro: si va dal ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli alla ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli. Dal sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, che a volte sopravanza anche lo stesso ministro Piantedosi, al viceministro dei Trasporti Edoardo Rixi, fino al sottosegretario del Lavoro Claudio Durigon e ad Alessandro Morelli, sottosegretario di stato alla presidenza del Consiglio alla Programmazione economica”.

CHI SONO I FEDELISSIMI DI SALVINI

“Dai capigruppo di Camera e Senato Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo – prosegue ancora il Foglio -, fino alla sfilza di deputati e senatori semplici: Andrea Crippa (vicesegretario della Lega), Claudio Borghi, Alberto Bagnai, Stefano Candiani, Andrea Paganella, Gian Marco Centinaio, Giulio Centemero, Luca Toccalini. Per non parlare dei riferimenti sui territori come il segretario della Liga veneta Alberto Stefani (deputato) o il coordinatore della Lega lombarda Fabrizio Cecchetti (deputato anch’egli): tutti strettissimi confidenti del segretario. Che in questi anni di leadership non hanno praticamente mai contestato nulla al loro numero uno. E non pensano di farlo nemmeno in questa fase di consenso periclitante del Capitano”.

PARAGONE: “ALLA LEADERSHIP NAZIONALE DI ZAIA E GIORGETTI NON CREDE NESSUNO”

“E poi, ma chi ci crede davvero alla leadership di Zaia e di Giorgetti? Nessuno”, racconta uno come Gianluigi Paragone, che le dinamiche interne al mondo leghista le conosce bene.
Pure il famoso Comitato nord, nato su impulso di Bossi per recuperare il radicamento federalista, non si sa che fine abbia fatto. E anche i malumori espressi dallo stesso Senatùr vengono derubricati a borbottii che al massimo possono alimentare il dibattito per un paio di giorni”.

Che Salvini quindi sia riuscito a costruire un cordone politico che, di fatto, lo blinda effettivamente è un fatto. Allo stesso tempo si sa, ancora di più in politica, come il vero cemento sia il potere. Per cui il cordone resiste fino a quando ci sono posti da distribuire. Ma se i consensi sono in calo, se gli eletti diminuiscono, se le poltrone scarseggiano allora anche i più granitici salviniani di ferro molto probabilmente inizieranno a scricchiolare.

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